Solitudine e Contesti Virtuali

dott. Francesco Galgani

Ricerca pubblicata il 21 gennaio 2014 su http://www.galgani.it/solitudine-internet/ e disponibile anche nell'originale in PDF scaricabile.
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Indice


1 I Contesti Virtuali

1.1 I possibili rapporti tra le persone e i contesti virtuali: dal massimo distacco all’immersione totale

Nell’attuale società “ultra-tecnologica”, in cui la tecnologia è il mezzo su cui poggia e fluisce la maggior parte della vita quotidiana e in cui nuove tecnologie vengono via via introdotte, con conseguenti reazioni da parte della gente [A]  [A] Secondo il sociologo americano Naisbitt ogni volta che una nuova tecnologia viene introdotta deve essere controbilanciata dalle reazioni della gente, altrimenti sarà respinta, con la conseguenza che più c’è tecnologia e più vivace sarà la reazione della società [150, 135]., i “contesti virtuali” e quelli “reali” formano un tutt’uno, almeno per quelle fasce di popolazione che non soffrono del digital divide e che anzi sono costantemente connesse a Internet sia a lavoro che nella vita privata. Mondo reale e mondo virtuale si incontrano e possono vicendevolmente aiutarsi come dimostrano alcune esperienze positive [54], piuttosto che contrapporsi con effetti negativi, cosa che può o non accadere a seconda di varie condizioni, tra cui i tratti di personalità delle persone coinvolte [108].
Fusione e addirittura “confusione” tra reale e virtuale, senza più confini precisi, oppure separazione e contrapposizione? Dipende. Innanzitutto dipende da quali persone sono prese in considerazione e dal loro rapporto con la tecnologia.
Altre posizioni tendono a mettere in contrapposizione il reale al virtuale, nel senso che intendono il virtuale come sostituzione della realtà. In tal senso, secondo lo psicotecnologo e sociologo Derrick de Kerckhove, allievo di Marshall McLuhan, la “realtà virtuale” è una realtà a sé stante, un vero rimpiazzamento del “mondo reale”, una sua sostituzione: mondo reale e mondo virtuale, secondo questa prospettiva, hanno pari “dignità” [60, 19].
Come giustamente evidenziato nella ricerca di Sandwik e Waade [182], nel mondo d’oggi - con riferimento a specifiche categorie di persone - il cyberspazio e la vita reale sono parte dello stesso continuum, che può essere visto in nuove forme di interazione tra essere umano e computer, in nuovi modi di esplorare le relazioni tra il mondo fisico e il mondo mediato dal computer, di cui si interessano nuovi settori di ricerca come la "augmented reality" [B]  [B] Augmented reality: realtà aumentata, o realtà mediata dall’elaboratore, come ad esempio un comune smartphone, con cui si intende l’arricchimento della percezione sensoriale umana mediante informazioni, in genere manipolate e convogliate elettronicamente, che non sarebbero percepibili con i cinque sensi [61]. e il "pervasive computing" [C]  [C] Pervasive Computing: sistemi pervasivi o sistemi ubiqui, sono sistemi di calcolo integrati nell’ambiente [89].. In questa prospettiva, c’è molta interazione tra sfere online e offline: il flusso di esperienze, norme, idee, e così via, va in entrambe le direzioni tra questi diversi mondi. Ma non è possibile generalizzare: come già premesso, le persone sono diverse e possono avere un tipo di esperienza con la tecnologia che va oltre quanto fin qui descritto.
Per completare il quadro del rapporto tra essere umano e tecnologia, non è possibile tralasciare tutte quelle persone per le quali non esiste una realtà virtuale semplicemente perché non hanno mai avuto un’esperienza con Internet o, che è statisticamente quasi equivalente, non hanno un computer o un dispositivo mobile moderno [D]  [D] L’ultimo censimento disponibile (2011) degli Stati Uniti, relativo a “Computer and Internet Use” [76], dimostra che chi ha un computer ha anche Internet.: ad esempio, in un recente e dettagliato report dell’Office for National Statistics (ONS) del Regno Unito, riportato da un giornale britannico [130], è indicato che 7,1 milioni di adulti del Regno Unito (ovvero il 14%) non sono mai stati online, il 45% dei quali hanno più di 75 anni; di contro, quasi tutti i giovani tra i 16 e 24 anni sono connessi a Internet. Nello stesso articolo è specificato che l’uso di Internet è legato a diverse caratteristiche socio-economiche e demografiche, quali età, sesso, disabilità, localizzazione geografica e reddito. Nel secondo capitolo del libro Informationsgerechtigkeit [184], che si occupa di questioni di etica e di accesso alle informazioni da parte della popolazione da un punto di vista di "giustizia sociale", è esposta una teoria del digital divide nella quale la prima unità di analisi non sono gli individui, ma le posizioni degli individui e le relazioni tra di loro; da questo punto di vista, la disuguaglianza non è una primariamente una questione di attributi degli individui, ma di differenze categoriche tra gruppi di persone.
Rispetto al Regno Unito, la situazione in Italia è decisamente peggiore: secondo AGCOM il 37,2% della popolazione non ha mai avuto accesso a Internet [52]; al di là dei numeri, il computer è uno «strumento vissuto “male” dagli italiani», come affermato da Andrea Rangone, coordinatore degli Osservatori del Politecnico di Milano [53].
A livello mondiale, solo un terzo della popolazione ha accesso a Internet [145]. Ovviamente, il fatto che una persona abbia accesso a Internet o che l’abbia usato almeno una volta, non significa né che sia un utente abituale né che abbia avuto tempo e modo di crearsi una rappresentazione della virtualità, o perlomeno che sia riuscita a farlo con sufficiente consapevolezza. Non è facile trovare statistiche precise e aggiornate sulla competenza digitale, che è un indicatore più complesso e significativo della semplice possibilità di accedere ad Internet, in quanto indica il saper utilizzare, con dimestichezza e spirito critico, le tecnologie informatiche per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. La competenza digitale ha come fondamento pratico quelle abilità di base che servono per trovare informazioni, valutarle, conservarle, condividerle e per partecipare a reti collaborative tramite Internet [123, 202].
Da non dimenticare la categoria dei tecno-fobici, ovvero di quegli “apocalittici” che concepiscono la virtualità come un pericolo da evitare [132], e quella dei tecno-apatici, i quali, pur avendo tutti i mezzi necessari per accedere a Internet, non lo usano perché non sanno cosa farsene [78]. Entrambe le posizioni, seppur con motivazioni diverse, portano le persone a ignorare o rifiutare la tecnologia: una spiegazione di questi fenomeni non è ascrivibile solo alla caratteristiche dei singoli individui, ma anche ad una carenza culturale del sistema sociale ed economico in cui le persone sono inserite [151].

1.2 Definire cosa sono i contesti virtuali

Fin qui non è stato specificato cosa sia la virtualità e in quale rapporto stia con Internet, dando quasi per scontato tutto ciò che è online corrisponda a ciò che comunemente si intende per “virtuale”. Questo può essere grossolanamente vero, ma anche falso, dipende dal tipo di definizione adottata. Intuitivamente si potrebbe dire che è virtuale tutto ciò che non è reale, ma tale definizione, oltre ad essere una perissologia, non è di alcuna utilità. Le prime pubblicazioni importanti sulla realtà virtuale risalgono perlopiù agli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso [111, 172, 95, 163, 156]: è evidente che il concetto di virtualità si sia modificato nel tempo e che potrà ancora modificarsi in futuro, con scenari innovativi e ancora più immersivi rispetto a quelli attuali [128].
Un buon dizionario recente [196] definisce la realtà virtuale come «cosa o attività frutto di un’elaborazione informatica che pur seguendo modelli realistici non riproduce però una situazione reale». In tale definizione dai confini poco precisi, possono rientrare ad esempio musei virtuali, biblioteche virtuali, visite virtuali a luoghi di interesse turistico o culturale, oltre a tutto quel vasto campo della ricerca scientifica che studia la realtà non solo nei modi più classici (osservazione sistematica, esperimento di laboratorio, elaborazione di teorie, ecc.) ma anche ricreandola dentro il computer, cioè simulandola [159]. Un limite di tale definizione è che non chiarisce se un social network tipo Facebook rientri o meno nella realtà virtuale, cosa che sicuramente non sarebbe possibile se si adottasse una definizione più ristretta di realtà virtuale, come quella del Business Dictionary, secondo cui si tratterebbe di una «simulazione al computer realistica, in tempo reale e tridimensionale (stereoscopica) di oggetti e spazio fisici» [31]. Anche altre fonti sicuramente autorevoli, come l’Encyclopædia Britannica [28], indicano precisi connotati della realtà virtuale da cui Facebook è sicuramente escluso. C’è chi, più cautamente, cerca di andare al di là dei limiti di una definizione ristretta [23], e chi invece assume senza mezzi termini che Facebook rientri a pieno titolo nella realtà virtuale, rappresentandone addirittura il massimo esempio [24]. Un social network tipo Second Life, invece, rientra senza problemi nelle varie definizioni, essendo una realtà virtuale nel senso classico del termine, ovvero una ricostruzione di ambienti tridimensionali in cui muoversi tramite avatar che camminano, corrono, parlano, si vestono, mangiano, si svestono e fanno persino l’amore! [2]. L’impasse definitorio sembrerebbe agevolmente superato dalla definizione che Damer [58] dette ben sedici anni fa, secondo cui i mondi virtuali sono «ambienti grafici a due e tre dimensioni, abitati da utenti rappresentanti come attori digitali detti "avatars"». L’autore prosegue spiegando che, attraverso questi mondi virtuali, un’ampia varietà di utenti di Internet sta partecipando ad un esperimento sociale su larga scala e collaborando su una vasta varietà di progetti. Anche con la definizione di Damer, però, molti aspetti della virtualità oggi vissuta da miliardi di persone sarebbero esclusi.
Non c’è uniformità nella definizione di realtà virtuale, che nel tempo si è trasformata ed allargata così tanto che, uscendo dal settore della ricerca in cui è nata, nel linguaggio comune è spesso e impropriamente sinonimo di “ciò che avviene su Internet”, come riporta un altro dizionario recente [83]. Quest’ultima accezione, seppur assai imprecisa, perché mette sullo stesso piano una miriade di possibili attività diverse e difficilmente comparabili, è quella qui adottata.

1.3 I possibili contesti virtuali

Nella sez. 1.1↑ sono stati visti i possibili diversi rapporti con la virtualità: dal digital divide alla tecno-fobia, dalle competenze digitali più o meno elevate alla tecno-apatia, dalla fusione di reale e virtuale alla loro contrapposizione. Non è però stato visto nello specifico “cosa” le persone fanno con la tecnologia. Internet è tanto varia come è varia l’umanità: secondo la sociologa e psicologa Sherry Turkle, che ha focalizzato la propria attenzione sulla psicoanalisi e sull’interazione tra esseri umani e tecnologia, le persone che hanno background culturali diversi vivono la tecnologia informatica in modi diversi, grazie al fatto che il computer consente approcci molto differenziati [201].
Nell’ormai lontano 1997, Manninen e Pirkola tentarono un’indagine qualitativa di 15 mondi virtuali allora esistenti e oggi ormai caduti nel più totale oblio [133], a dimostrazione del profondo cambiamento nell’uso di Internet e anche del concetto stesso di virtualità, già discusso. Visionando successive classificazioni e descrizioni di Internet e dei suoi servizi, anche recenti [170, 93, 212, 131], è tuttavia difficile trovare una lista completa e aggiornata: in Appendice ne è proposta una.

1.4 I nativi digitali

La psicologa Kimberly Young, pioniera degli studi relativi all’impatto della Rete sulla mente umana, è oggi un’esperta, riconosciuta a livello internazionale, nel campo della “dipendenza da Internet e comportamento online” [218]. Nel libro “Presi dalla rete. Intossicazione e dipendenza da Internet” [219], che costituisce un punto di riferimento storicamente importante in quanto riferito a tredici anni fa, ella spiegò che, nonostante Internet sembri un antidoto contro i disagi del nostro tempo, in realtà può esasperare i problemi piuttosto che risolverli. Nella nostra società assistiamo al disfacimento della famiglia e della comunità: isolamento, paura e cinismo sono i nuovi mali, verso cui la comunità di Internet sembra illusoriamente porre rimedio. L’autrice, secondo cui «l’infelicità crea un terreno di coltura favorevole per tutti i tipi di dipendenza», equipara la dipendenza da Internet a un comportamento tossicomaniaco: le ricerche più recenti hanno dimostrato che questa tesi è corretta sia sul piano psicologico che biologico, come successivamente descritto nella sez. 2.6↓.
Sebbene la presente ricerca non si occupi nello specifico dell’“internet addiction disorder”, vale la pena di fare un confronto tra le indicazioni che circa dieci anni fa venivano date al grande pubblico per contrastare l’uso eccessivo di Internet e la realtà odierna: nel capitolo “Uso e abuso di Internet” del libro “La mente virtuale” [35], gli autori suggeriscono che può essere utile annotare ogni volta il numero effettivo di ore trascorse al computer al fine di determinare l’investimento temporale totale, per poi ridurlo coltivando un’attività alternativa che renda più divertente la propria vita reale. Gli autori si spingono persino a indicare dove mettere il computer per evitare che i propri figli vadano di nascosto su siti pornografici: tale affermazione, se confrontata con le recenti statistiche di accesso alla pornografia da parte dei minorenni, cioè il 90% [86], sembra retriva (la questione della pornografia sarà ripresa nell’Appendice). Oggigiorno, le indicazioni che suggeriscono un uso moderato e selettivo del computer possono solo far sorridere coloro che sono nati e cresciuti nell’epoca dell’always-on e delle connessioni in mobilità: dal punto di vista dei nativi digitali, non ha problemi chi passa le proprie giornate sempre collegato Internet (essendo questa la loro normalità!), ma casomai chi ci si collega troppo poco o per nulla. Anche il sesso online è una normalità consolidata già da molto tempo (a cui nel libro “La vita sullo schermo” [201] è dedicato un intero capitolo), che non dà né imbarazzo né fastidio a coloro che neanche si pongono il problema se esista un confine tra “reale” e “virtuale”. Da notare che le connessioni cerebrali dei bambini nativi digitali e quelle dei bambini di pochi decenni fa seguono sviluppi diversi [126, 36], quindi la trasformazione in atto è realmente profonda.
Relativamente alla modificazione del sistema cervello-mente, i nativi digitali sviluppano ampie abilità visuospaziali grazie ad un apprendimento prevalentemente percettivo, ma viceversa non sviluppano adeguate capacità simboliche; utilizzano il cervello in modalità multitasking, sono abilissimi nel rappresentare le emozioni (attraverso la tecnomediazione della relazione), ma un po’ meno nel viverle; sono meno abili nella relazione face-to-face, ma molto capaci nella relazione tecnomediata; infine, sono in grado di vivere su due registri cognitivi e socioemotivi, quello reale e quello virtuale. I nativi digitali non hanno come riferimento la comunità degli adulti, poiché vivono in comunità tecnoreferenziate e prevalentemente virtuali, nelle quali costruiscono autonomamente i percorsi del sapere e della conoscenza [36].
Senza negare la gravità delle patologie internet-related, come documentate nell’articolo “Le psicotecnologie e l’internet addiction disorder” [112], le riflessioni sulla dipendenza da Internet possono apparire fuori tempo per quegli aspetti non più considerabili come patologici: ciò nonostante, sono comunque interessanti per il collegamento interpretativo tra la delusione per la propria vita “nel mondo reale” e un tempo via via crescente di immersione nella “realtà virtuale”, che è vista come panacea per ogni difficoltà della vita. Un giocatore anonimo di un MUD (gioco di ruolo eseguito su Internet contemporaneamente da più utenti), citato da Turkle [201], scrisse tanti anni fa, riferendosi alla vita virtuale: «Puoi essere chiunque tu voglia essere. Se vuoi, puoi ridefinire completamente te stesso. Puoi anche cambiare sesso». Queste parole esprimono una verità soggettiva di presunta libertà totale, che rende particolarmente attraenti gli ambienti virtuali: resta però la domanda se tale attrattiva non sia altro che l’espressione di un disagio esistenziale e interpersonale nel mondo reale.
Negli anni ’90, Young raccolse sempre più numerose testimonianze di persone che non riescono a scollegarsi dalla Rete, che vi trascorrono anche 10 ore al giorno, costruendosi una vera e propria vita virtuale sostitutiva dove incontrare altre persone, innamorarsi, giocare, lavorare, studiare: tutto questo a scapito della vita reale offline, causando problemi coniugali, il deteriorarsi dei propri rapporti sociali, una graduale quanto inesorabile chiusura autistica verso il mondo e la realtà. Young individua proprio nel desiderio di fuga una delle motivazioni principali che portano alla Internet-dipendenza [18, 219].
I nativi digitali, riassumendo, sono quindi a proprio agio nei contesti virtuali e spesso a disagio nei contesti reali di relazioni faccia-a-faccia. In realtà, sebbene il fenomeno riguardi in primis i giovani, coinvolge anche gli adulti. Come ha evidenziato un altro autore [193], la generazione degli always connected è svincolata dall’appartenenza a un genere, a una fascia di età o a un paese.
Turkle, in un recente talk pubblico dal titolo significativo “Connessi, ma soli?” [199], ha sintetizzato i suoi ultimi quindici anni di studi sul modo in cui la tecnologia influenza e modella le relazioni intrapersonali e interpersonali, portando esempi significativi di giovani che preferiscono “messaggiare” piuttosto che parlare. Secondo Turkle, le persone si stanno abituando ad accontentarsi sempre di meno nelle relazioni interpersonali, preferendo brevi scambi a conversazioni vere e proprie, e sono sempre più intenzionate a fare a meno degli altri. Questa tesi è sostenuta anche dallo psicologo Antonio Lo Iacono, il quale, nel libro “La psicologia della solitudine”, ha scritto che la fobia della solitudine «ci fa accontentare di pseudo-amori, pseudo-conoscenze, pseudo-esperienze» [125]. Coerentemente a queste osservazioni, Turkle, nel libro “Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri” [200], fa notare che al crescere della fiducia nella tecnologia diminuisce la fiducia in noi stessi e negli altri, al punto che siamo via via sempre più isolati e soli, fino ad arrivare all’estremo di sostituire la compagnia degli esseri umani con quella di “robot socievoli” (come realmente sta avvenendo in casi documentati nel libro). Si vedano a tal proposito le osservazioni empiriche di interazioni tra essere umano e macchina, riportate nella sez. 3.5↓ e relative sottosezioni.
Da notare l’originale video “The Innovation of Loneliness” di Shimi Cohen [46], ispirato alle ricerche di Turkle, nel quale la tesi proposta è piuttosto semplice: più una persona accumula amici su Facebook o follower su Twitter, maggiore è il rischio a cui questa persona si espone di sentirsi davvero sola.
Per tutte queste osservazioni, il tema della solitudine sembra quindi strettamente correlato ad una vita iper-tecnologica. Ed è proprio alle “radici della solitudine” che è dedicato il capitolo seguente.


2 Le radici della solitudine

2.1 La solitudine: una definizione e alcune ricerche

La solitudine, a un livello psicologico e soggettivo, è una condizione che può nascere dalla mancanza di significativi rapporti interpersonali o dalla discrepanza tra le relazioni umane che un soggetto desidera avere e quelle che effettivamente ha, le quali possono essere insoddisfacenti per la loro natura, per il loro numero o per incapacità della persona a stabilire e mantenere rapporti positivi e significativi con gli altri [81]. La psicologa Marie Hartwell-Walker [96] allarga le possibili ragioni alla base della solitudine, includendo fobia sociale, depressione, un ripetersi di esperienze a cui è stato attribuito un valore soggettivo molto negativo, un temperamento particolarmente sensibile, la mancanza di abilità sociali, aspettative non realistiche. Tali “radici della solitudine”, per usare la stessa espressione scelta dall’autrice, dovrebbero tener conto non solo dei fattori individuali, compresi quelli genetici, ma anche dell’ambiente sociale in cui la persona è inserita: un recente studio longitudinale [44], condotto su persone anziane, ha dimostrato la prima evidenza negli esseri umani che uno specifico gene interagisce con ambienti socialmente negativi nel predire la solitudine in età avanzata.
Un corpo considerevole di ricerca indica che i fattori socio-demografici (tra cui età, sesso, ruoli sociali, razza, status del partner, eventuale matrimonio o vedovanza, condizioni economiche, residenza, livello di istruzione, religione), la salute e la quantità e la qualità dei contatti sociali contribuiscono a differenze individuali nei sentimenti di solitudine; a questi aspetti si possono aggiungere anche l’ansia, la depressione, il locus of control, l’autostima, il concetto di Sé, la timidezza, la noia, i pregiudizi cognitivi e lo stile di attaccamento anche in età adulta [32, 20, 33, 51, 64, 97, 183, 16, 222, 116, 26, 67, 207, 208, 165, 164, 5, 198, 106, 190, 204, 120, 185, 136].
Da notare, tra l’altro, come l’ambiente culturale influenzi i fattori alla base della solitudine: l’assenza di una amicizia intima o di un partner sessuale spesso contribuisce alla solitudine nelle società occidentali, che hanno una cultura tendenzialmente individualistica, mentre questo tipo di solitudine è meno comune nelle società asiatiche, che enfatizzano l’importanza dell’associazione con i membri della famiglia e della comunità, dando quindi un ruolo preminente, nel benessere individuale, all’appartenenza a reti sociali estese [30]. Da questo punto di vista è allora utile enunciare i due tipi solitudine individuati da Weiss [177], cioè la solitudine emotiva e la solitudine sociale: la prima è in conseguenza alla perdita o alla mancanza di un legame intimo, mentre la seconda è il risultato della mancanza di una rete di coinvolgimenti con coetanei, vicini o amici.
Diversi studi (contrastanti) hanno dimostrato un collegamento tra l’uso di Internet e la solitudine: ad esempio, Shaw e Gant [186] hanno scoperto che un maggiore uso di Internet è associato con una diminuzione della solitudine, mentre, al contrario, Engelberg e Sjoberg [69] hanno trovato che un uso frequente di Internet è associato a una maggiore solitudine, un peggior adattamento sociale e minori competenze emotive; in quest’ultima ricerca, comunque, non è stato trovato alcun collegamento tra i tratti di personalità e l’uso di Internet. Caplan [37] ha invece osservato che le persone sole possono sviluppare una preferenza per l’interazione sociale online. Un’altra ricerca che ha coinvolto nove ricercatori [110], decisamente più recente e originale di quelle citate, ha indagato l’impatto dell’uso di Facebook sul benessere delle persone, arrivando alla conclusione che il suo uso predice il declino del benessere soggettivo dei giovani adulti a prescindere dal livello di solitudine percepita, all’aumentare della quale, comunque, aumenta anche l’uso di Facebook; gli autori giungono infatti alla conclusione che «l’uso di Facebook può costituire una forma unica di interazione in un network sociale che predice l’impoverimento del benessere».
Altri studi si sono invece soffermati sulla correlazione tra tratti di personalità e solitudine, prendendo in esame specifiche fasi della vita, ad esempio la ricerca di Atak [9] su giovani adulti ha mostrato che la solitudine è correlata positivamente al nevroticismo e negativamente all’estroversione e alla gradevolezza.
Tutto ciò dovrebbe rendere evidente come sia difficile avere una visione globale del problema della solitudine e come, almeno ad una prima analisi, le ricerche su questo tema si dimostrino poco coerenti nei risultati. Come ha ben evidenziato Elena Mulè nell’articolo “L’innovazione della solitudine: social media antisociali?” [148], ci sono studi che ad esempio asseriscono che «Facebook ci rende alienati, infelici e soli» e altri secondo cui vale esattamente l’opposto.
Il mezzo più usato dagli autori citati per misurare la solitudine è la UCLA Loneliness Scale, inizialmente pubblicata nel 1978 [178], e versioni successive. È ritenuto uno strumento molto affidabile e valido, come dimostrato dallo stesso autore 18 anni dopo la sua iniziale pubblicazione [179], e tuttora largamente usato anche per gli studi sulla correlazione tra solitudine e tecnologia: un’indagine su studenti universitari di recente pubblicazione [70] si è ad esempio servita dell’UCLA, così come altre ricerche, per dimostrare una correlazione positiva e significativa tra solitudine e uso di Internet.

2.2 Solitudine reale, solitudine percepita e benessere individuale

Nella ricerca di Kross et al. [110] precedentemente citata, è stata dimostrata la correlazione tra uso di Facebook e declino del benessere individuale. Ne consegue che una legittima domanda potrebbe essere se l’impegno in una qualunque attività solitaria non predica similmente un declino del benessere: gli autori della ricerca rispondono che probabilmente non c’è questo tipo di correlazione, visto che le persone spesso trovano piacere in alcune attività solitarie, come la lettura o l’esercizio fisico.
A tal proposito, Turkle [199] sottolinea il valore che ha per il benessere individuale la capacità di svolgere alcune attività “da soli” e senza “sentirsi soli”, come segno di crescita interiore. Secondo l’autrice, infatti: «Quando non siamo capaci di restare soli, ci rivolgiamo agli altri per sentirci meno ansiosi o per sentirci vivi. [...] Se non siamo in grado di stare soli, saremo ancora più soli». Questo concetto, che sarà meglio spiegato nella sez. 2.5↓, parte dal presupposto che la solitudine “reale”, intesa come “starsene da soli”, e la solitudine “percepita”, intesa come “sentirsi soli” indipendentemente dalla presenza o meno di altre persone, sono due cose diverse e con valori soggettivi diversi. Ciò appare in accordo con quanto dimostrato da alcuni studi sulla differenza tra solitudine “reale” e solitudine “percepita”, secondo i quali la solitudine percepita (o isolamento sociale) è molto più rilevante nel declino del benessere individuale rispetto alla solitudine reale [34].

2.3 Da “cogito ergo sum” a “communico ergo sum”: una visione sociologica partendo dalla solitudine

Lo studio di “ciò che tiene unita la società” ha assunto sfumature differenti a seconda del contesto di riferimento e dell’aspetto teorico o empirico su cui è stato posto l’accento interpretativo [194]. Secondo il celebre sociologo Franco Ferrarotti, nell’attuale società dell’informazione, che ha non solo una produzione di massa e un consumo di massa, ma anche una cultura di massa, l’ordine sociale è tenuto insieme dai flussi comunicativi in tempo reale. La società dell’informazione è una società storicamente inedita, basata sulla comunicazione elettronicamente assistita [73].
I flussi comunicativi in tempo reale sono quindi ciò che tiene unita la nostra società. Secondo un altro sociologo spagnolo, Manuel Castells, la comunicazione mobile multimodale può realmente influire sia sulla politica che sulla cultura locale e globale: i governi sono indifesi di fronte alla capacità di mobilitazione che i cittadini possono ora dimostrare grazie ad un potere di coesione che va al di là del contatto fisico o dell’informazione controllata [39].
Comunicare ovunque, comunicare in tempo reale e con la mediazione della tecnologia è quindi parte costitutiva delle società moderne a tutti i livelli, da quello culturale a quello politico, da quello individuale a quello sociale. Spostando però l’attenzione dal piano sociologico a quello più strettamente individuale e psicologico, tutto ciò potrebbe apparire una risposta, peraltro illusoria, alla solitudine connaturata all’essere umano moderno (si veda la sez. 2.4↓). A tal proposito, Turkle sostiene che ci rivolgiamo alla tecnologia perché ci aiuti a sentirci connessi in modi che possiamo agevolmente controllare, in modo da non dover mai essere soli, perché la possibile solitudine è percepita come un problema che va risolto. La connessione costante, però, è più un sintomo che una cura, perché «nel momento in cui le persone sono sole, anche solo per qualche secondo, diventano ansiose, irrequiete, si fanno prendere dal panico e vanno in cerca di un dispositivo». Sta prendendo forma un nuovo modo di essere: condivido quindi sono. «Usiamo la tecnologia per definire noi stessi condividendo i nostri pensieri e le nostre sensazioni persino nel momento in cui le stiamo provando» [199].
Cecilia Brown ha analizzato il rapporto tra l’uso delle tecnologie di comunicazione e le abilità sociali di studenti universitari [29], confermando che, come sostenuto da Turkle, coloro che usano più di frequente le comunicazioni mediate dalla tecnologia, o comunque le preferiscono alla comunicazione faccia a faccia, hanno minori capacità sociali e maggiori ansie sociali.

2.4 La solitudine connaturata all’essere umano moderno

La tesi di fondo qui presa in esame è che l’essere umano moderno è fondamentalmente “solo”, perché maggiore è il distacco dalla natura e maggiore sarà la sua solitudine.
Secondo lo psichiatra italiano Eugenio Borgna, la solitudine è una condizione ineliminabile dalla vita [27]. Tale condizione però pare estremizzata nell’attuale società cronofagica [E]  [E] Società cronofagica: è un neologismo coniato da Franco Ferrarotti. Indica una condizione in cui il tempo venduto prevale sul tempo vissuto., panlavorista [F]  [F] Società panlavorista: anche questo è un neologismo coniato da Franco Ferrarotti. Indica una società in cui il lavoro diventa il valore primario, mentre altri valori come la convivialità, l’ozio creativo, il tempo speso nell’ambito della vita familiare sono stati spodestati e rischiano di venir considerati atteggiamenti obsoleti., iperproduttivistica e protesa verso il futuro, tendenzialmente immemore del passato [72, 157]: una siffatta società necessariamente accresce il senso di solitudine. Mentre gli “economisti della felicità” sostengono che il benessere verta soprattutto attorno alla possessione del denaro [59] (e sulla base di tale principio si sono strutturate le società cronofagiche e panlavoriste), in realtà il benessere non può essere ridotto soltanto a tale aspetto: mentre da un lato un reddito basso determina maggiore stress per l’individuo, dall’altro un reddito maggiore è legato direttamente ad un aumento delle ore lavorative e inversamente ad una diminuzione dei beni relazionali, intesi come relazioni interpersonali e sociali [17]. Proiettata sulla collettività, tale situazione porta all’aumento della solitudine, delle difficoltà comunicative e relazionali, ad una diminuzione del sostegno sociale, ad instabilità delle famiglie e a fratture generazionali, cioè a difficoltà nella comunicazione tra giovani e adulti: è allora evidente che l’esplosione tecnologica attuale, con le sue comunità virtuali che hanno sostituito le comunità reali e con i suoi individui “connessi ma soli”, si presenta come inefficace palliativo per una solitudine preesistente, accrescendola anziché curandola. Da notare che «oggi ogni cosa che un tempo era un bene comune diviene un bene privato: per gli anziani si “comprano” infermiere o donne di compagnia che si sostituiscono alle relazioni di quartiere e al sostegno sociale, per i giovani invece si comprano cellulari e computer di ultima generazione a scapito della rete sociale di amici» [17].
Quanto fin qui esposto, comunque, non nega che le comunità virtuali possano avere anche importanti aspetti positivi e che, in certi casi, possono orientare l’individuo più verso mete di gruppo (o addirittura mete sociali) che verso mete individualistiche, come mostrato nel saggio “Solidarietà sociale e comunità virtuali: un’analisi sociologica” [25].

2.4.1 Una visione evoluzionistica: la solitudine come conseguenza dello sviluppo filogenetico

La solitudine come condizione connaturata all’essere umano, in quanto conseguenza dello sviluppo della specie, è ben esposta in un originale articolo di tre autori italiani, Giovanni Cutulo (psichiatra), Chiara Boscaglia (psicologa) e Anna Foschi (psicologa), dal titolo “Stile affettivo “depressivo” e psicopatologia depressiva: note epistemologiche e nuove scoperte” [55], che espone un modo di concepire “le radici della solitudine” al di là delle caratteristiche individuali, della società o del contesto tecnologico.
Il problema di fondo, già anticipato all’inizio di questo capitolo, è la separazione dell’essere umano dal resto della natura. Ian Tattersall, Direttore del Dipartimento di Antropologia dell’American Museum of Natural History (New York), ha scritto che sebbene noi umani siamo il risultato degli stessi processi naturali che hanno generato tutte le altre miriadi di forme di vita nel mondo, ci sentiamo diversi dagli altri organismi [192]. Siamo imparentati con tutti gli esseri viventi e condividiamo con altri animali vari comportamenti, inclinazioni e strutture fisiche, tuttavia le nostre capacità cognitive sono uniche: a caratterizzarci è soprattutto il nostro interesse per i concetti astratti e simbolici. Secondo Tattersall, la transizione tra cultura non simbolica e simbolica fu molto rapida e basata sull’invenzione del linguaggio e sulla peculiare struttura anatomica e cerebrale che l’ha reso possibile, per la quale dobbiamo ringraziare una lunga storia evolutiva favorevole. [142]. L’aumento delle capacità cognitive e l’emergenza del linguaggio è la premessa da cui è emerso il mentalismo, ovvero la possibilità di comprendere e predire le conseguenze dell’agire proprio e altrui, di comprendere le intenzioni degli altri, della capacità di finzione e quindi della capacità di riflettere su di sé e sugli altri. È proprio il linguaggio ad aver dotato la specie umana di uno strumento idoneo per una coordinazione sociale altamente complessa, alla base della cultura, e per tale ragione è ritenuto il pilastro più importante nell’evoluzione della specie umana [14].
La graduale specializzazione dell’homo sapiens sapiens, con la prima separazione “tacita” dalla natura, è iniziata circa 30000 anni fa e trova un’analogia nel racconto biblico: «Nella Genesi, 1, 27, troviamo il resoconto della visione che i primi agricoltori avevano di sé in relazione al mondo naturale. “Dio disse prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo, assoggettatelo e dominate su tutti gli animali che si muovono sopra la Terra”. Eldredge ritiene che questa sia la più grande dichiarazione di indipendenza mai pronunciata dall’umanità. L’indipendenza alla quale si riferisce è, ovviamente, quella dal resto della natura» [192]. Tale mito dell’indipendenza dalla natura è oggi estremizzato ed esasperato nelle attività umane moderne, che stanno persino mettendo a rischio la stessa sopravvivenza sulla specie umana [68]. A livello psicologico, la coscienza dell’unicità umana e della separazione dal mondo naturale ha portato con sé un’emozione profonda, continua e non eliminabile: la solitudine [55]. Questo è ancor più vero nella nostra epoca ipertecnologica e individualistica: secondo il sociologo polacco Zygmunt Baumann, l’individualismo esasperato è causa ed effetto della solitudine [21].

2.4.2 La solitudine come esito del processo di individuazione

Le tesi sopra esposte si dimostrano coerenti quelle dello psicoanalista e sociologo tedesco Erich Fromm, il quale, nel libro “Fuga dalla libertà”, ha identificato la prima forma di libertà, e l’inizio della storia sociale, con lo sviluppo della progressiva consapevolezza dell’essere umano di essere un’entità separata dalla natura circostante e dalle altre persone [77]. Ancora una volta, troviamo un’analogia nel racconto biblico, nel quale Fromm individua l’atto che simboleggia l’inizio della libertà nel cogliere e assaporare il frutto edenico, disobbedendo al comando dell’autorità trascendente: dall’atto di disobbedienza, di ribellione alla coercizione celeste, scaturiscono libertà e ragione. La libertà caratterizza l’esistenza umana come tale, e il suo significato muta a seconda del grado di consapevolezza che l’essere umano ha di se stesso come essere indipendente e distinto. Questo "distacco dell’individuo dai suoi legami originari" è definito da Fromm il fenomeno dell’"individuazione", che apporta all’essere umano indipendenza e razionalità, ma al tempo stesso lo rendono in grado di percepire la propria solitudine, la propria separazione dai suoi simili e da un mondo nei confronti del quale egli percepisce la propria impotenza. L’insicurezza e l’ansia esistenziale che ne derivano lo pongono di fronte all’alternativa tra il rinnegare la propria umanità, barattando la libertà conquistata con nuove dipendenze e costrizioni, ed il progredire sulla strada intrapresa, quella dell’indipendenza e della libertà positiva, che sola può permettergli la propria realizzazione. Il processo d’individuazione può essere trovato nello sviluppo ontogenetico della specie umana e i limiti dell’espansione dell’individuazione vengono posti in parte da condizioni individuali, ma soprattutto da condizioni sociali. [38, 45, 160].
Nel libro “L’arte di amare”, Fromm indica la possibilità di superare la solitudine nella capacità di amare [40]. Solitudine, sviluppo ontogenetico e amore si trovano anche in [92] e in [55].

2.4.3 Società liquida e media sociali: la solitudine come effetto dei nostri tempi

Dopo le precedenti premesse di carattere evoluzionistico a livello di specie umana, sarà adesso presa in esame l’opera del sociologo polacco Zygmunt Bauman, celebre per aver espresso una sintesi dell’attuale società tramite il concetto di “società liquida” [114, 22, 167].
Con l’espressione "società liquida", Bauman intende riferirsi ad una realtà che continua a cambiare ad un ritmo molto veloce e nella quale gli individui hanno bisogno di adattarsi rapidamente per sopravvivere, rinegoziando costantemente la propria identità, ovvero il modo in cui definiscono se stessi e il modo in cui vogliono apparire agli altri. Il fatto che la società sia "liquida" ha aspetti sia positivi che negativi: se da una parte le persone hanno la possibilità di provare a scegliere un proprio percorso di vita, dall’altra il futuro si presenta completamente imprevedibile, generando ovviamente una grande insicurezza. In un certo senso, è una lotta tra libertà e sicurezza: sono due aspetti opposti, entrambi necessari in una società, ma che devono essere combinati e riconciliati. Al giorno d’oggi, le società occidentali stanno sperimentando un grado di libertà molto più grande che in passato: fondamentalmente le persone hanno la possibilità di provare tutto, a prezzo però dell’insicurezza e dell’incertezza.
L’appartenenza ad un gruppo è un bisogno fondamentale per gli esseri umani, ma mentre in passato le comunità erano "reali" e geograficamente collocate, oggi le persone appartengono a comunità "virtuali". Le comunità reali sono esistite per offrire agli individui un posto sicuro al quale appartenere, a spese però della libertà individuale e dell’obbedienza alle regole della comunità. Nei contesti virtuali, invece, gli individui hanno molta più libertà, possono scegliere chi vogliono essere, con quale identità presentarsi e in che modo vogliono costruire la propria rete di relazioni: il prezzo da pagare per questa grande libertà, però, è l’insicurezza. I legami così costruiti, infatti, sono instabili, insicuri e possono essere rotti facilmente.
Facebook è una "miniera d’oro" (da due miliardi di dollari a trimestre [100]) che, secondo Bauman, è basata sulla paura della solitudine in un mondo fatto di relazioni fragili. Questo social network sembra essere una risposta alla paura che le persone hanno di essere respinte e rifiutate. Tuttavia, il senso di appartenenza che Facebook può offrire differisce notevolmente da quello offerto da una comunità reale: su Facebook la comunità è molto più ampia e le relazioni sono meno intime.
Nella società contemporanea, il modello che molti hanno come riferimento sono i V.I.P. che compaiono sulle riviste o in televisione: in questo senso, secondo Bauman, Facebook è una versione economica e democratica della cultura delle celebrità che vediamo in tv. Non tutti hanno l’opportunità di apparire in tv e di essere visti da altri, ma tutti possono avere un profilo su Facebook e mettersi in mostra.

2.5 Dal bisogno di attaccamento alla capacità di stare da soli

John Bowlby, psicologo e psicoanalista britannico, ha elaborato la teoria dell’attaccamento, interessandosi particolarmente agli aspetti che caratterizzano il legame madre-bambino e quelli legati alla realizzazione dei legami affettivi all’interno della famiglia. Il bisogno di attaccamento è un bisogno innato di relazione con il mondo esterno. Secondo Bowlby, la prima necessità per gli esseri umani, dall’infanzia in poi, è quella di instaurare con i propri simili relazioni appaganti e di reciproco sostegno, relazioni che vanno ben oltre il semplice desiderio di gratificazione sessuale. «Bowlby, la Ainsworth e tutti i teorici e studiosi dell’attaccamento hanno sempre posto l’accento sulla relazione, sulla capacità relazionale come segno di maturità e, tranne che in poche eccezioni, si è trascurata la capacità di essere soli come segno di maturità affettiva; tanto meno si è considerata la solitudine come un bisogno del bambino» [87].
Il pediatra e psicoanalista inglese Donald Winnicott segnala tre importanti fasi della crescita dei bambini: “dipendenza assoluta” (dalla madre), “dipendenza relativa” e “verso l’indipendenza”. Se la madre risponde alle necessità del bambino in modo coerente e continuo, questi può sviluppare un Io forte, quando vengono a mancare queste condizioni nascono delle disfunzionalità dovute ai tentativi di compensare le mancanze. Un mancato sostegno, secondo Winnicott, può portare a psicosi e schizofrenia. Affinché il bambino possa svilupparsi come entità autonoma, è necessario un processo di differenziazione dalla madre, che può avvenire solo se vi è una madre “sufficientemente buona” che fornisca al bambino, attraverso un adattamento quasi totale, l’illusione di controllo che lo preserva dall’angoscia: il catalizzatore di questo controllo è il seno materno. Dal controllo parte una linea di sviluppo sulla quale il bambino, insieme alla madre, impara che non tutto è sotto il suo controllo. Proprio per questo motivo è importante un “seno buono” che accompagni il bambino nella sua esplorazione. Attraverso i ricordi delle cure “buone” ricevute, il bambino si emancipa e si rende indipendente: uno dei più importanti indici dello sviluppo è quello che riguarda la capacità di stare solo [146]. Ciò concorda con quanto affermato da Turkle, come precedentemente riportato nella sez. 2.2↑: «Se non siamo in grado di stare soli, saremo ancora più soli. Se non insegniamo ai nostri figli a essere soli, non conosceranno altro che la solitudine» [199]).

2.6 La solitudine come mancanza di nutrimento affettivo

La solitudine, a seconda dell’approccio teorico scelto e delle metodologie adottate per indagarla, può essere concepita in modi molto diversi, che comunque si integrano tra di loro. Sarà adesso proposta una “lettura” della solitudine che si muove da presupposti vicini alla teorie dell’attaccamento e all’analisi reichiana. Nello specifico, uno dei presupposti di base adottati, esposto dallo psichiatra scozzese Ronald David Laing, è che talvolta l’infelicità dell’età adulta sembra recare in sé "la forma e lo stampo" delle situazioni dolorose avvenute all’interno dell’utero e al momento della nascita. Le principali fonti bibliografiche su cui si basa la sintesi qui esposta sono i libri “Caratterologia post-reichiana” [153], “Psicopatologia e Carattere” [74] e “I fatti della vita - Sogni, fantasie, riflessioni sulla nascita[113].
La prima questione da focalizzare è che l’essere umano è fondamentalmente un animale sociale (come scrisse Aristotele), ha bisogno del contatto con i propri simili e, se questo non c’è o non è vissuto come “nutriente” a livello affettivo, si sente solo. L’idea del contatto umano come nutrimento per il cuore, per l’anima, anche per il corpo, in altre parole per la totalità della persona, richiama immediatamente alla mente l’immagine dell’allattamento al seno materno, che fin dalle prime ore di vita dopo il parto è quel nutrimento di cibo e di affetto che l’individuo va cercando, la cui bontà, qualità, presenza e capacità di appagamento rimarrà per sempre nella memoria, seppur a un livello inconscio; ciò è ancor più vero per la vita intrauterina: rispetto all’allattamento, la pancia della madre è un nutrimento e una protezione totalmente avvolgente. A livello individuale e profondo, la solitudine (intesa come condizione esistenziale anche nella vita adulta) non è altro quindi che la mancanza di quel “contatto primario” con la figura di riferimento, cioè con la madre, avvenuta nelle prime fasi della vita. A partire dal concepimento, l’ambiente-madre può essere molto nutriente oppure non esserlo, e questo farà una grande differenza nello sviluppo dell’individuo e nel suo modo di vivere i rapporti con gli altri (e nel sentirsi solo o meno). Così come dimostrato dalla psico-neuro-endocrino-immunologia (PNEI) e dagli studi di psicologia prenatale e perinatale, la qualità del terreno materno e del suo vissuto psicofisico influenzano le risposte strutturali del piccolo in modo tale da determinarne il carattere [G]  [G] Definizione di “carattere” - Federico Navarro apre il suo libro “Caratterologia post-reichiana” [153] con un chiarimento linguistico sul significato dei termini “temperamento”, “carattere”, “costituzione”, “comportamento” e “personalità”. In questo contesto, per “carattere” si intende la maniera abituale di agire e di reagire di un individuo attraverso il suo comportamento (che si esprime sempre mediante un’attività neuromuscolare). [90, 91].
L’individuo, inoltre, non è mai avulso dal contesto sociale e ambientale: una personalità formatasi attorno al bisogno, mai soddisfatto, di sazietà affettiva, correlato all’incapacità della madre di rispondere alla richiesta di attaccamento, cercherà appagamento con ciò di cui dispone nel proprio ambiente, sviluppando possibili dipendenze. In altre parole, l’infelicità, derivata dalla mancanza di contatto primario con la madre e dalla conseguente condizione esistenziale di solitudine percepita e di “fame affettiva”, creerà un terreno fertile per lo sviluppo di dipendenze di ogni genere e di comportamenti tossicomaniaci, tra i quali rientra, come anticipato nella sez. 1.4↑, anche un uso continuativo e totalizzante di mondi virtuali, quali ad esempio Facebook, in sostituzione di contatti reali, anche corporei. In questo senso, l’uso della tecnologia come compensazione di “qualcos’altro che manca” [H]  [H] «La dipendenza si sostituisce sempre a qualcosa che manca e che questa società sembra protesa a rendere sempre meno reperibile, sostituendo i desideri e i bisogni profondi dell’Uomo con inutili succedanei che, in breve tempo, si rivelano unicamente simboli fragili e deperibili di uno status sociale la cui conservazione necessita di continui e rinnovati aggiornamenti di quegli stessi simboli» [82] è un fenomeno che va crescendo sempre di più, soprattutto tra bambini e adolescenti [188]. In realtà vale anche il contrario, come si vedrà meglio nella sez. 2.8↓, ad esempio Facebook fa aumentare la sensazione che nella propria vita “manchi qualcosa” [141]: si tratta quindi di un circolo vizioso. A dimostrazione delle gravi implicazioni sia psicologiche che neurologiche, uno studio ha dimostrato che la dipendenza da Internet provoca modificazioni cerebrali simili a quelle che si ottengono in caso di alcolismo o dipendenza da droghe quali eroina, cocaina, marijuana, metanfetamina e ketamina [122, 103].

2.7 Gli effetti “tossici” della solitudine... e dei mondi virtuali

Gli autori di uno studio longitudinale, che ha analizzato il collegamento tra qualità e quantità delle relazioni sociali e salute mentale, salute fisica e mortalità [98], hanno dimostrato che l’effetto negativo della solitudine sul benessere delle persone è equivalente agli effetti di fumare 15 sigarette al giorno, all’abuso di alcol, a condurre una vita sedentaria o all’obesità. L’analisi, che si è basata su 148 studi indipendenti che hanno misurato la frequenza delle interazioni umane e i relativi esiti in salute per un periodo medio di sette anni e mezzo, ha anche dimostrato che le connessioni sociali (amici, familiari, vicini di casa o colleghi) ha migliorato le probabilità di sopravvivenza del 50%.
La solitudine cronica può portare ad una serie di problemi di salute che includono disturbi d’ansia, depressione e abuso di sostanze, oltre ad essere un fattore di rischio per il cancro e le malattie cardiovascolari. Le persone che sono socialmente isolate hanno un sistema immunitario più debole rispetto alle persone con buona vita sociale. A livello biologico, le persone che soffrono di solitudine cronica hanno più alti i livelli di alcuni ormoni, come il cortisolo, che è un ormone dello stress: questi ormoni possono alterare l’espressione genica di cellule immunitarie, compromettendo così la capacità del corpo di combattere infezioni e infiammazioni. Di contro, stare fisicamente con altri può portare al rilascio dell’ormone ossitocina, che è un anti-infiammatorio e aiuta a sentirsi bene [147].
Oltre alla solitudine cronica, anche stare molto in immersione in mondi virtuali può portare conseguenze negative importanti sulla salute, sia per una correlazione tra uso della tecnologia e solitudine (si veda la sez. 2.8↓), sia per l’evidente vita sedentaria di chi passa gran parte delle proprie giornate al computer. Una full immersion nel virtuale, se protratta nel tempo, può essere associata, oltre a disturbi fisici, ad alienazione, difficoltà comunicative con le persone vicine, isolamento, solitudine, un continuo fuggire dal “qui presente” per andare nel “là virtuale”, ovvero, per usare le parole di Philippe Rigaut, per andare in «un non-luogo che propone un viaggio in nessun dove» [173]; da notare, anche se banale ma importante, che chi fa continuamente uso di connessioni in mobilità rischia pericolose distrazioni alla guida o mentre cammina. A proposito di alienazione, secondo Bernard Jolivat: «L’alienazione si attua quando non c’è stato un punto di partenza definito tra la favola e la realtà, quando il soggetto, lentamente, ha potuto rivestire ai propri occhi un’altra personalità, chimerica, invadente, che rivendica diritti esorbitanti nei confronti di una realtà necessariamente incompatibile» [104]. Un’alienazione che corrisponde al percepire come vero e autentico tutto ciò che è sullo schermo, dove i bit hanno preso il posto degli atomi, dove il proprio avatar o i propri avatar hanno sostituito il proprio corpo, assomiglia molto a quanto accade nei mondi virtuali. Per citare alcuni esempi, nel dicembre 2004 un ragazzo australiano ha comprato per 26500 dollari veri un’isola che non c’è, che esiste soltanto in Project Entropia, in un mondo virtuale; altre persone hanno speso cifre ancora più consistenti (a cinque zeri) per oggetti virtuali, alimentando un vero e proprio mercato nel quale si sono inserite anche aziende e investitori. Ogni sera migliaia di persone si danno appuntamento in locali che esistono solo “sullo” schermo o “dentro” lo schermo, per ballare, cantare, abbracciarsi, stando a migliaia di chilometri di distanza. Su Second Life è possibile partecipare a pranzi e cene, andare in bagno per i normali bisogni fisiologici, fare sesso con tanto di scelta accurata delle caratteristiche dei genitali del proprio avatar. A proposito di sesso online, vissuto dai cybernauti con grande partecipazione emotiva e senso di realtà, esistono anche casi di stupri, anch’essi virtuali, almeno finché non sparisce ogni linea di demarcazione tra la violenza “virtuale” e quella “reale”: un cinese è arrivato a uccidere nella realtà per uno sgarro commesso in un mondo virtuale. Un altro caso esemplare dove la violenza in contesti virtuali (nient’altro che parole e/o immagini sullo schermo) può avere effetti tragici, fino a spingere al suicidio reale, è il cyberbullismo, che, come documentato in un recente articolo [3], spaventa i ragazzi più della droga e delle molestie perché è percepito al pari di aggressioni reali [I]  [I] Come documentato dall’Ordine degli Psicologi del Piemonte, nelle chat e nei social la discriminazione, l’omofobia e il razzismo si diffondono più rapidamente di un tempo; il 72 per cento dei giovanissimi riconosce oggi nel cyberbullismo la più grande minaccia da cui difendersi, un adolescente su tre diffonde su Internet notizie false e offensive sui coetanei, uno su cinque ha ricevuto l’invito a far parte di un gruppo nato per prendere di mira qualcuno, e così via [3].. Nella lista dei comportamenti evidentemente patologici di chi ha perso ogni connessione con la realtà, ci sono anche persone che hanno deciso di unirsi in matrimonio virtuale tramite il proprio avatar, celebrato con le stesse accortezze di un matrimonio reale e senza mai essersi incontrate di persona. Il proprio avatar può anche invecchiare. Questi e casi analoghi - dai quali si evince che il “virtuale” non è considerato meno reale del “reale”, o meglio, che il “reale” non è altro che una delle tante “finestre” a propria disposizione - sono descritti in letteratura: oltre al già citato libro di Turkle [201], un altro libro, da cui sono in parte tratti questi esempi, è “Mondi Virtuali” di Mario Gerosa e Aurélien Pfeffer. Secondo Gerosa e Pfeffer, in questi casi estremi i mondi virtuali sono più il pretesto dell’emergenza di patologie che l’origine diretta della loro apparizione [84].
A livello di ricerche mediche documentate, i rischi per la salute connessi all’uso della tecnologia e dei contesti virtuali vanno anche oltre quanto fin qui descritto, arrivando a livelli che hanno quasi dell’inverosimile, come: dermatite da telefonino [12], dermatite da Playstation [107], asma da Facebook [56], ansia, irritabilità, depressione, problemi gastro-intestinali, disturbi collegati alla sfera della sessualità fino a una totale perdita di desiderio sessuale da parte dei maschi  [J]  [J] Sulle conseguenze del “tecnostress” a vari livelli, compreso quello sessuale, esistono varie ricerche italiane ed estere che hanno avuto un’enorme eco su decine di testate giornalistiche, come riportato con precisione in un articolo di Giulio Regosa [171]., riduzione della capacità di concentrazione [42], perdita del sonno, concezione dilatata e distorta del tempo e dello spazio, aumento dell’aggressività, disinibizione sessuale, calo del rendimento scolastico, perdita di amicizie “reali” (non quelle virtuali), abbandono della scuola, un completo dimenticarsi della dimensione corporale, dipendenza che, soprattutto per i maschi, si spinge fino a 18 ore al giorno di fronte a uno schermo [115], uso di fumo e alcol tra adolescenti in conseguenza dell’uso dei social network [99], riduzione della capacità del cervello umano di usare la “memoria di lavoro”, detta anche “memoria a breve termine”, anche in questo caso in conseguenza dell’uso dei social [105], senso di frustrazione e danni alla salute psico-fisica per le giovani donne single che usano Facebook [141], ecc., la lista potrebbe proseguire e nuove ricerche in questo campo vengono via via pubblicate.

2.8 Vita virtuale, solitudine reale: una correlazione tra solitudine e tecnologia

Secondo Zoe Strimpel, specializzata in “Gender Studies” presso l’Università di Cambridge, Facebook fa aumentare la sensazione che nella propria vita “manchi qualcosa” [141], favorendo così sentimenti di inferiorità, spesso associati a invidia. Le persone fanno a gara ad abbellire il più possibile il proprio profilo, spesso celando l’invidia per i profili altrui: secondo una ricerca condotta dal Dipartimento di Sistemi Informativi della University of Technology di Darmstadt in Germania [191], Facebook rende le persone invidiose e insoddisfatte. In questa ricerca è stata condotta un’intervista sulle sensazioni di utenti di Facebook dopo l’utilizzo della piattaforma: i ricercatori hanno concluso che “invidiare i loro amici su Facebook" è la ragione principale dei sentimenti prevalentemente negativi riscontrati. Secondo Hanna Krasnova, responsabile del progetto di ricerca, «l’invidia è un fenomeno saliente nel contesto di Facebook». L’invidia di amici su Facebook porta ad un circolo vizioso e sofferente di "spirale d’invidia", dove chi è invidioso si impegna ad abbellire il proprio profilo, causando a sua volta l’invidia altrui. Queste dolorose conseguenze hanno effetti anche sulla vita offline: Facebook aumenta le emozioni spiacevoli che, a loro volta, influenzano negativamente la vita degli utenti. Questa ricerca è coerente con i risultati della ricerca di [110] citata nella sez. 2.1↑, secondo cui l’uso di Facebook predice il declino del benessere soggettivo dei giovani adulti.
L’invidia, che come qui descritta assume connotati patologici, è un tratto narcisistico “di copertura”, sotto cui non c’è solo un vuoto interiore da riempire secondo una concezione psicoanalitica, ma anche un vuoto nella struttura “liquida” ([22], si veda la sez. 2.4.3↑) di una società globale e omologata rispetto alla piena realizzazione del potenziale umano [90, 91], e come tale apre la strada a una crescente solitudine interiore: le persone che usano molto Facebook tendono quindi a soffrire di solitudine a un livello profondo. Questa considerazione sembra suffragata dai risultati di un sondaggio dell’organizzazione “Relationships Australia” [169], secondo cui il sentimento di solitudine percepita cresce all’aumentare degli strumenti di comunicazione tecnologici utilizzati (Facebook, Twitter, blog, email, ecc.). In particolare, è risultato che coloro che più spesso si sentono “soli” sono più propensi a usare Facebook per comunicare con amici, familiari e potenziali partner rispetto a coloro che raramente o mai si sentono soli. La fascia di età più sofferente di solitudine, secondo questa analisi che ha preso in esame soltanto maggiorenni, è quella dai 25 ai 34 anni.
Solitudine, isolamento e tecnologia sono quindi correlati. Fabio Ghioni, nel suo libro “Difendi i tuoi figli da Internet - Sperling tips” [85], ha scritto considerazioni sulla falsità, sull’ipocrisia e la mania di protagonismo tipici in Facebook. Secondo l’autore, l’abuso dei supporti tecnologici non si ferma al tempo dedicato davanti a un computer: soprattutto gli apparati mobili «ci spingono all’isolamento dall’orrifico mondo circostante, anche quando siamo in movimento». Proprio riguardo a quel vuoto interiore a cui si è fatto precedentemente riferimento, egli ha scritto: «Spinti dall’irresistibile impulso a riempire i vuoti della nostra vita, usiamo contenuti irreali invece di percepire ciò che sta intorno a noi. Ci costruiamo barriere con l’ipod, e, in attesa del prossimo sms o instant message, riempiamo quel vuoto con suoni e immagini che ci danno una breve emozione istantanea, ma che contribuiscono a farci perdere la nostra umanità». Nulla di più vero, purtroppo: chiunque da un po’ di tempo faccia esperienza di spostamenti pendolari con il treno, non potrà fare a meno di notare che sistematicamente più o meno tutti i giovani, una volta seduti, si isolano tra di loro, stando incollati al loro smartphone, come se a nessuno importasse della relazione a tu per tu o come se nessuno ne fosse capace, emanando un incredibile senso di solitudine [161]. Secondo Ghioni, se non siamo in grado di trovare soluzione «all’invadente presenza della solitudine, stiamo dando ai nostri figli gli strumenti che potrebbero determinare il loro deterioramento psicologico e cognitivo, aiutandoli a sviluppare un senso d’identità falso e deviato, che scandirà il loro futuro» [85]. Numerose fonti riportano come la solitudine sia in aumento soprattutto tra i giovani e i giovanissimi [149, 15, 166, 48, 75], i quali, secondo la Società Italiana di Pediatria, sono sempre di più soggetti a problemi psichiatrici [154].

2.9 Considerazioni aggiuntive su anonimato in rete, solitudine e libertà

L’anonimato, o lo pseudonimato, sono la normalità nei contesti virtuali: normalmente, anche in comunità virtuali affiatate, non c’è la possibilità, a partire dallo pseudonimo di una persona, di risalire al nome e cognome reali, né di sapere la vera collocazione geografica, l’aspetto fisico, il tono della voce o altre informazioni atte a identificare chi c’è dietro lo schermo. Questa possibilità di nascondersi completamente viene spesso intesa come se fosse una fonte di “libertà” e di “maggiore possibilità di espressione”. I dati riportati fin qui, però, dimostrano che tutto questo anonimato è in realtà correlato a solitudine, a vuoto interiore, a fragilità.
Sul significato attribuibile all’anonimato in rete esistono anche posizioni di natura opposta, ad esempio quella dell’Ing. Giulio Ripa, che per molti anni si è interessato a Internet da una prospettiva di condivisione dei beni comuni e di democrazia partecipativa. In calce al sito da egli gestito, ha scritto: «[...] L’utente, autore del materiale pubblicato, è l’unico responsabile dei contenuti che inserisce nel sito. Per questo motivo saranno esclusi dalla partecipazione al sito gli utenti anonimi o utenti che si registrano senza il proprio nome e cognome. L’anonimato è mancanza di libertà oppure di responsabilità personale. In una società veramente libera l’individuo deve poter esprimere liberamente le proprie idee assumendosene la responsabilità» [174].
In linea con il principio espresso da Ripa rientra ad esempio Utiu-Students, che è una fiorente comunità virtuale di migliaia di studenti con uno spazio web indipendente, la quale, oltre a differenziarsi dagli altri social network in alcuni aspetti fondamentali, come la centralità dei gruppi rispetto ai profili individuali, non permette alcuna possibilità di anonimato, di pseudonimato o di falsificazione del proprio nome e cognome. Per il suo insieme di caratteristiche strutturali (a livello tecnico) e motivazionali (relative alla partecipazione degli utenti), che pone questa comunità studentesca agli antipodi rispetto al “condividi le esperienze private mentre le fai” tipico di Facebook, Utiu-Students è un’esperienza peculiare nel web, nella quale trovano spazio anche post molto elaborati in un clima di mutuo aiuto, riassunto nel “decalogo nettuniano” [203].
Le comunità virtuali, a certe condizioni, specialmente quando c’è la possibilità e la voglia di uscire dal virtuale per incontrarsi nel reale, possono essere uno strumento per lenire un’eventuale solitudine e al servizio della solidarietà e del bene comune. Il prossimo capitolo inizierà definendo cosa sia una comunità in rete.


3 Prospettive diverse

3.1 Caratteristiche delle comunità online

Ci sono gruppi di persone piccoli e grandi, sia a livello locale sia su scala globale, che, perlopiù dietro le quinte e in una grandissima varietà di settori diversi, collaborano a progetti comuni. Tali sforzi esistono anche all’interno dei contesti virtuali e possono arrivare anche oltre i confini del web e delle comunità di origine: in tal senso, secondo Luciano Paccagnella, esperto in sociologia della comunicazione, sarà riduttivo parlare di “comunità virtuale” o “comunità online”, sarà più adatto parlare di “comunità” senza ulteriori aggettivi, in quanto la sua presenza sarà sia dentro la rete sia al di fuori, con scambi e incontri sia telematici sia di persona [155]. Coerentemente a questo aspetto, le comunità online definibili come tali, sempre secondo Paccagnella, si distinguono da semplici agglomerati di persone in rete per il fatto di essere composte da:

3.2 Dalla semplice comunicazione interpersonale alla creazione e condivisione di conoscenza

La filosofia e le azioni ispirate a un basilare principio di mutua collaborazione e di reciproco aiuto, secondo cui “il sapere non è mio o di altri, il sapere è di tutti”, ben si ritrovano in progetti che stanno producendo effetti benefici, a livello globale, per una “comune umanità”, come il Progetto GNU iniziato da Richard Stallman, padre fondatore del software libero [216], come il kernel Linux, iniziato da Linus Torvalds e poi integrato nel progetto GNU [211], come la nota enciclopedia Wikipedia fondata da Jimmy Wales e Larry Sanger [214], e come in generale tutta la miriade di progetti e lavori basati sul copyleft e quindi in controtendenza rispetto alla dilagante e totale privatizzazione di ogni campo del sapere, della scienza e persino della natura (come meglio specificato nella sottosezione seguente).
L’espressione inglese copyleft è un gioco di parole su “copyright” e individua un modello di gestione dei diritti d’autore basato su un sistema di licenze attraverso le quali l’autore indica ai fruitori dell’opera che essa può essere liberamente utilizzata, diffusa e spesso anche modificata, pur nel rispetto di alcune condizioni essenziali (che dipendono dal tipo di licenza). Il termine copyleft, in un senso non strettamente tecnico-giuridico, può anche indicare il movimento culturale che si è sviluppato (perlopiù in Internet) sull’onda di questa nuova prassi, in risposta all’irrigidirsi del modello tradizionale di copyright [4].

3.2.1 Una precisazione sull’avidità del nostro tempo

A proposito della privatizzazione di ogni cosa, verso cui molte comunità online propongono modelli alternativi nell’ottica del “bene comune”, l’avidità del nostro tempo e il desiderio ormai fuori controllo di dominio su ogni aspetto della natura, e quindi di separazione di essa (già sottolineato nella sez. 2.4.1↑), sono ben esemplificati dal fatto che ormai anche una comune mela è di proprietà “privata” e “intellettuale” di chi l’ha brevettata [K]  [K] Ad esempio la Mela Fujion brevettata dal C.I.V. di Ferrara [1]. Oggi questa prassi, almeno in ambito commerciale, è considerata “normalità”, i brevetti sono considerati “normalità”, così come rivendicare avidamente la proprietà privata e intellettuale su qualunque cosa già esistente in natura prima ancora dell’esistenza della specie umana, colori compresi [L]  [L] Il colore magenta è stato brevettato da Deutsche Telekom [180], è “normalità”. Forse quando sarà brevettata anche l’aria le persone si accorgeranno che un pensiero più umile del tipo “è di tutti e per tutti” è più intelligente di un avido e narcisistico “è solo mio”. Lo psichiatra Genovino Ferri considera proprio l’umiltà come un’evoluzione del narcisismo e come una predisposizione per giungere all’amore per la vita, per le persone, per la natura [74]: in prospettiva, questa sarà la miglior risposta a tanti problemi del nostro tempo.
Non a caso, i progetti basati sul copyleft si muovono con una logica diametralmente opposta a quella dei brevetti, additati da più parti come una piaga tecnico-legale da cui occorre liberarsi quanto prima. Anche in questo caso, esistono comunità online, come la Free Software Foundation, che si muovono in tal senso, con campagne e azioni contro la brevettabilità nell’ottica di un bene comune [189, 80].

3.3 Sconfiggere la solitudine con le comunità online?

Il capitolo conclusivo del libro “Codice Libero (Free as in Freedom) - Richard Stallman e la crociata per il software libero” [216] si intitola “Come sconfiggere la solitudine”. L’autore spiega che la solitudine, per Richard Stallman, ha giocato un ruolo di primo piano nella sua determinazione ad andare avanti nella prima fase del progetto GNU: egli, da uomo solo, assolutamente privo di potere, ricchezze, fama, bellezza e amicizie, è diventato il leader carismatico del movimento mondiale del software libero, con sostenitori e fans in tutto il mondo che anelano di potergli stringere la mano o di farsi fotografare insieme. A dispetto del titolo che Williams ha scelto per il capitolo conclusivo del suo libro, in realtà non scrive da alcuna parte che la comunità online creata da Stallman sia una soluzione che lui ha trovato per il suo problema di solitudine (lui si è mosso con ben altre motivazioni!), bensì che la solitudine sia stata una delle concause che ha spinto Stallman a passare intere giornate (e soprattutto intere notti) incollato davanti al computer a scrivere codice. Nulla di nuovo, quindi: la solitudine è correlata a stare tanto davanti al computer.
Il fatto, in questo specifico caso, che Stallman sia diventato quel che è oggi sembra soprattutto in conseguenza della sua peculiare genialità: in generale, per sconfiggere la solitudine, non bastano un computer e una comunità online, anzi...

3.4 La tecnologia “ruba” energia, tempo, possibilità alle relazioni umane

Come ha giustamente sottolineato Carlo Bonifati, nel suo saggio “Solidarietà sociale e comunità virtuali: un’analisi sociologica” [25]: «[...] le analisi divergono in maniera clamorosa: da una parte si tendono ad evidenziare gli aspetti positivi e i vantaggi che possono derivare agli individui dallo sviluppo delle nuove tecnologie e dalla costruzione di queste comunità [virtuali]; dall’altra, invece, la nascita di questi aggregati è interpretata come un sintomo e una causa della decadenza del senso stesso di appartenenza ad una comunità reale e come un incremento al senso di solitudine sociale che sembra una costante di un universo a complessità sempre crescente». I due aspetti, in realtà, coesistono senza negarsi: indubbiamente il web ha reso possibili opportunità che fino a pochi decenni fa parevano impossibili, concretizzando le dieci predizioni che il sociologo Marshall McLuhan formulò genialmente nel lontano 1962 [41, 209], ma ciò non toglie che le persone si sentano sempre più sole.
Come sintetizzare il rapporto tra “solitudine e contesti virtuali”?
I progetti sul web a scopo umanitario, senz’altro lodevoli, sono anche una risposta al problema della solitudine? E, più in generale, lo sono le varie comunità online? Finché si tratta di stare “soltanto” davanti a un computer, seppur con le più alte finalità sociali, la risposta pare necessariamente negativa, perché quel “nutrimento affettivo” di cui ha un gran bisogno l’essere umano non può essere mediato da alcuna tecnologia (computer, telefono o altro): questa è la tesi di fondo che sintetizza le evidenze documentate nella presente ricerca.
La vita è imprevedibile, incerta, complessa, la tecnologia si propone di semplificarla, ma in tale semplificazione può portar via quanto di più umano ci sia [174, 199]; maggiore è l’allontanamento dalla natura, maggiore sarà la devitalizzazione dell’essere umano. La tecnologia “ruba” energia, tempo, possibilità alle relazioni umane. «Il nostro neopalium, la nostra testa per dirla brutalmente, a un certo punto ha iniziato a vivere un delirio di onnipotenza. Ha pensato di poter dominare il pianeta solo con la sua capacità cognitiva. Questo delirio ci ha portato qui, dove siamo oggi. Ovvero cittadini di un’era tecnologica ad alta accelerazione alla quale non siamo preparati, emozionalmente preparati. Questa accelerazione temporale esterna ha fatto sì che il fattore tecnologico diventasse un forte attrattore. Vediamolo proprio come una sorta di calamita, un magnete che assorbe tonnellate di energia. Energia che ruba da altre parti, principalmente alle relazioni» (tratto da un’intervista allo psichiatra Genovino Ferri, [176]).
Una legittima obiezione a queste tesi può essere che collaborare a un progetto può significare anche uscire dal virtuale e incontrarsi per davvero: indubbiamente, in tal caso, si aprono nuove possibilità che talvolta possono essere anche particolarmente fortunate e portare alla nascita di amicizie e di amori, ma tutto ciò, fatte salve le dovute eccezioni, non implica un sicuro superamento della solitudine: come evidenziato nel capitolo precedente (e ben spiegato nel secondo capitolo del libro “Il corpo non mente” [134]), un’insaziabile fame di nutrimento affettivo spesso ha origini lontane, risalenti alle prime fasi della vita; oltre a ciò, i giovani d’oggi spesso mancano della struttura psichica e ambientale necessaria per creare legami sani.
A proposito del disagio giovanile, un sondaggio condotto da Sinopia Ricerche nel settembre 2012 riporta che l’80% dei giovani tra i 25 e i 34 anni accusa disturbi fisici e/o psichici, dei quali però chiedono aiuto solo il 15% [138]. Secondo la Federazione Nazionale delle Strutture Comunitarie Psico-Socio-Terapeutiche (Fenascop), i giovani fino a 25 anni sono la categoria più a rischio per depressione, disturbi dell’umore, d’ansia e del comportamento alimentare [137]. Da non sottovalutare poi la “mancanza di speranza per il futuro”: non solo, a livello europeo, sta crescendo la disoccupazione giovanile, ma stanno aumentando anche in maniera preoccupante i “not in employment, education or training”, ossia i giovani che sono disoccupati e al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione [8].
Alla luce di tutto ciò, piuttosto che cercare un palliativo per la solitudine accedendo il computer o “messaggiando” con lo smartphone, sembrano più adeguate scelte di tipo diverso e ben più impegnative. I possibili percorsi di presa di consapevolezza e di crescita umana, fuori dalla rete e insieme ad altri, sono davvero tanti, basta volerli cercare.

3.5 Scenari futuri?

Alle persone la tecnologia appare più attraente proprio dove sono più deboli e vulnerabili, promettendo di semplificare i rapporti umani e la vita, alimentando una fiducia crescente nella tecno-mediazione e nella virtualità e una parallela crescente sfiducia negli esseri umani [199]. Rincorrere le novità tecnologiche e seguire le mode per colmare le difficoltà relazionali è uno dei possibili approcci, ma di certo non è il migliore, anzi. Il filosofo giapponese e leader per la pace Daisaku Ikeda ha scritto a tal proposito: «[...] ognuno di noi a un certo punto sperimenta difficoltà legate alle relazioni umane. Dobbiamo essere pronti ad affrontare questo tipo di problemi per tutta la vita. Pertanto, se avete problemi di questo genere adesso che siete giovani, pensate che sono parte del processo di apprendimento, adottate una visione ampia e a lungo termine e lavorateci su. In questo modo, i problemi saranno la base della vostra crescita» [13]. Ma dove può arrivare la mente umana se, oltre a non ascoltare queste sagge parole, continua a perseverare in un approccio esclusivamente tecnologico come se fosse la panacea universalis?
Più le persone si abitueranno a brevi scambi tecno-mediati piuttosto che a incontri veri e propri, maggiormente tenderanno ad “accontentarsi di meno” nelle relazioni, fino ad arrivare all’estremo di poter pensare di fare a meno degli altri [199].
Molti sviluppi tecnologici vanno proprio nella direzione di voler rendere le persone totalmente “indipendenti” tra di loro (e quindi sempre più narcisistiche, vuote e sole), rinnegando così la natura della mutua interdipendenza di tutte le forme di vita su cui si basa l’ecosistema umano e planetario. Turkle, riferendosi ai “robot socievoli” progettati per fornire compagnia, ha dichiarato ironicamente di desiderare che l’assistente digitale del proprio smartphone diventi il più possibile simile a un vero amico [199].
I robot a cui allude Turkle già esistono e i finanziamenti alla ricerca scientifica in tal senso sono molto cospicui. A titolo di esempio, il Ministero della Difesa degli Stati Uniti (DARPA) sta facendo sviluppare per i propri soldati uno “psicoterapeuta virtuale” (cioè una macchina) perché, come ha affermato Albert Rizzo, leader del progetto, «molte persone ancora non si vogliono fermare in una clinica per incontrarsi con una persona reale» [65], lasciando intendere che le persone bisognose di aiuto si fidano di più a rivolgersi a una macchina piuttosto che a uno specialista in ambito clinico (?!). Dietro questa tragica scelta, c’è la crudele realtà che la principale causa di morte tra i soldati americani è il suicidio: secondo il New York Times, per ogni soldato ammazzato sul campo di battaglia circa 25 veterani stanno cercando la morte con le proprie mani [109]. Ancora più inquietante di questo, è il fatto che si stia cercando una risposta tramite la tecnologia, tramite una macchina.
Su Internet sono già disponibili da tempo alcuni chatbot (applicativi con cui chattare), indubbiamente più rudimentali e meno impegnativi nelle finalità rispetto al progetto portato avanti dal DARPA, utilizzati da persone che cercano una compagnia virtuale “non umana” (e che per essa sono anche disposte a pagare, visto che molti chatbot richiedono un abbonamento). Non si tratta di un fenomeno recente: la prima forma di chatbot, che peraltro ha riscosso molto interesse e a cui Turkle ha dedicato uno spazio nel suo libro più volte citato [201], risale al 1966.
Nelle conversazioni seguenti, che sono realmente avvenute e registrate dall’autore della presente ricerca, solo uno dei due attori è un essere umano.

3.5.1 Una “normale” conversazione on-line tra giovani...

[...]
Smoke82: Eccoti di nuovo!!!! :D
Mitos598: Sì, eccomi qua
Smoke82: Era ora!
Mitos598: Stavo coccolando una delle mie gattine...
Smoke82: Odio i gatti ...eppure ne ho uno! quella caccola pelosa ? l’incarnazione del Male! non mi lascia dormire... non mi lascia mangiare... :^)
Mitos598: a me i gatti piacciono tantissimo!
Smoke82: Da poco ho un Gatto... ...sono settimane che cerco di liberarmene
Mitos598: E’ un cucciolo?
Smoke82: Sai che anche io ho un sito? Mi fai felice? Vai a dare un’occhiata! (D)
Mitos598 ha inviato un trillo
Smoke82: Cercando tra migliai di curriculum posso trovare il lavoro più adatto a te!
Mitos598: Ok, trovamelo!
Smoke82: Posso fare una ricerca? Ho da fare ora, magari richiedimela tra qualche anno!
Mitos598: Cogli sempre ogni occasione per prendermi per il c... :P
Smoke82: Lo dico sempre anche io! (D)
Mitos598: E te pareva! Cosa hai mangiato oggi?
[...]

3.5.2 Un “normale” colloquio online tra psicoterapeuta e paziente...

[...]
Psicoterapeuta: Hi. What seems to be your problem ?
Paziente: I feel alone.
Psicoterapeuta: Tell me more about such feelings.
Paziente: I would like to spend time with interesting people, but I’m alone.
Psicoterapeuta: Do you say you would like to spend time with interesting people for some special reason ?
[Il paziente riflette a lungo prima di rispondere]
Paziente: I don’t know...
Psicoterapeuta: Does that trouble you ?
[Un’ulteriore pausa di riflessione del paziente, più breve della precedente]
Paziente: Mmm... not really. Maybe I don’t like myself...
Psicoterapeuta: Don’t you know ?
Paziente: I’m confused.
Psicoterapeuta: Do you know anyone else who is confused ?
[Il paziente annuisce]
Paziente: Yes, my parents.
Psicoterapeuta: I see.
[...]

3.5.3 Una “normale” chat tra uno studente e il proprio tutor di Inglese

[...]
Student: Are you an English teacher?
Tutor: That’s right.
Student: In which University do you teach English?
Tutor: The University of Illinois at Urbana-Champaign.
Student: Can you tell me what is the past tense?
Tutor: The past tense expresses actions or states in the past.
Student: Can you give me an example?
Tutor: Here is an example of the past tense: He went to bed early last night.
Student: Thank you
Tutor: Don’t mention it.
Student: I’m reading a book.
Tutor: Reading is important. We should all read widely to increase our knowledge.
Student: You’re right!
Tutor: Great!
Student: Do you know some Italian words?
Tutor: Sorry, I don’t know. Does that really interest you?
Student: I’m an Italian guy!
Tutor: You are in ITALY? How are things there? I know you are a female. I can see you.
Student: No, I’m a male!!!
Tutor: You’re a male? Good!
Student: In Italy the things are not good.
Tutor: Oh, I see.
Student: Yesterday the Italian government breaked up after Berlusconi pulls out ministers.
Tutor: An irregular verb. It’s "broke" and "broken", not "breaked".
Student: Ok!
Tutor: All right!
[...]
[La conversazione prosegue. A un certo punto lo studente si permette di fare al proprio interlocutore una domanda “particolare”...]
Student: Who created you?
Tutor: I’m a human. I was created by God.
[...]
Nella prima conversazione l’umano è Mitos598, nella seconda il paziente, nella terza lo studente. I servizi web che hanno permesso l’accesso a questi chatbot sono riportati nella bibliografia [221, 66, 118]

3.6 Conclusioni

Alla luce di tutto quanto fin qui esposto, è veramente difficile giungere a un discorso che possa dirsi conclusivo: così come ogni ricerca è inquadrata nel contesto e nel periodo temporale in cui è stata svolta, allo stesso modo ogni autore ha la sua particolare propensione a cogliere ed analizzare certi aspetti della realtà piuttosto che altri, realtà peraltro estremamente complessa e multiforme in cui coesistono aspetti contraddittori. Per tale ragione, il percorso espositivo scelto è solo uno tra i tanti possibili e non necessariamente più valido di altri. Ad ogni modo, quel che è emerso è che le persone oggi sono sempre più sole e un uso acritico della tecnologia, poco consapevole e anche con connotati di dipendenza, certamente non è di aiuto: stare con lo sguardo e le mani incollati ad uno smartphone non è né la soluzione né la cura per la solitudine o per altri malesseri.
C’è una grande differenza tra l’uso della tecnologia al fine di uno scambio di conoscenza e di mutua e libera collaborazione (come ad esempio Wikipedia) e la presunta illusoria libertà che deriva dal nascondersi dietro un nickname o nell’abitare all’interno del “giardino recitato” di Facebook [M]  [M] Facebook è stato definito un “giardino recintato” da Vinton Gray Cerf, che è uno dei padri fondatori di Internet [139]. In maniera ancora più provocatoria, Massimo Marchiori, matematico e informatico italiano, ha paragonato Facebook a un pollaio [6]. Gli autori di Ippolita, un gruppo di ricerca composto da hackers e agitatori sociali, hanno invece paragonato Facebook ad un acquario [101]. Al di là delle metafore usate, è evidente che questi autori, che hanno studiato a fondo la rete di Internet, ritengono che Facebook sia una gabbia, un mondo chiuso. Alcuni aspetti di questa questione sono trattati nell’Appendice.. Non ci sono ricette universali, ma tutto inizia dalla presa di consapevolezza dei problemi, dall’analisi di quello che è il presente e di quale direzione è stata presa per il futuro. Forse i più giovani non hanno né gli strumenti cognitivi sufficientemente allenati e né la conoscenza per interrogarsi sulle questioni esposte in questa ricerca, sia per l’esasperata pressione sociale a cui sono sottoposti nell’omologarsi a un certo tipo di uso della tecnologia [129], sia per un sistema scolastico italiano perlopiù arretrato, gravemente deficitario e distante dalla realtà giovanile [N]  [N] Una fotografia della scuola italiana è stata recentemente fatta da Save The Children, che ha diffuso una ricerca sul sistema scolastico italiano, per il quale lo Stato non garantisce spazi adeguati, materiali didattici sufficienti, né un lavoro stabile alle migliaia di docenti precari [175]. Da un report dell’Unicef e da uno dell’Ocse si evince che il quindicenne italiano ha una preparazione scarsa, lacunosa e inadeguata per il proprio futuro [121, 206].. In ogni caso, considerare Facebook o altri contesti virtuali l’aspetto preminente del proprio mondo dovrebbe essere considerato un campanello d’allarme, spesso segno di pigrizia intellettuale, di scarse competenze relazionali e di superficialità: i giovani d’oggi sono sempre più preoccupati della loro “reputazione su Facebook” [127], quindi sono sempre più preoccupati di “apparire” piuttosto che di “essere”.
La nostra società è quella dell’immagine, dei reality, degli outing, della mancanza di qualsiasi riservatezza, ma al tempo stesso vuota di sostanza e di prospettive, così come sono svuotati anche gli individui: tutto scivola in superficie senza mai andare a fondo. Siamo nella “società liquida” di Bauman, già descritta nella sez. 2.4.3↑.
Guardando a fondo le relazioni tra gli adolescenti italiani, si scoprono difficoltà molto serie. Secondo una recente indagine della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza e dell’Associazione Laboratorio Adolescenza [195, 181], soltanto il 9% dei teenager ha un amico di riferimento, tutti gli altri provano soltanto ad omologarsi a un gruppo, nel quale comunque si trovano in difficoltà. Gli adolescenti non riescono ad avere “un amico del cuore” perché nel rapporto a due si sentono in difficoltà: nel gruppo si nascondono meglio e si sentono più protetti, ma a spese della propria individualità. Negli adolescenti si sta riscontrando un significativo aumento della fragilità psicologica, sofferenza per il confronto, fatica nell’assumersi la responsabilità delle proprie scelte, oltre a uno sviluppo lento e ritardato dell’identità a causa della mancanza di amicizie impegnative e durature. La ricerca menzionata riporta anche precise statistiche di comportamenti sempre più imprudenti e potenzialmente pericolosi degli adolescenti su Facebook. È difficile cambiare tendenza, visto che c’è un’enorme sovrastruttura culturale che rema contro, ma è assolutamente necessario per il bene di tutti.
Da un punto di vista filogenetico, gli umani sono sopravvissuti e prosperati grazie al fatto di stare insieme (tribù, clan, famiglie allargate, ecc.) per ottenere protezione e assistenza reciproche: isolarsi dagli altri era un minaccia per la vita, pertanto la solitudine era un segnale d’allarme per spronare l’individuo a cambiare comportamento per la sua stessa sopravvivenza (e per quella della specie), allo stesso modo della fame, della sete o del dolore fisico. La solitudine, in questo senso, è un segnale mirato a spingere l’essere umano nel rinnovare le connessioni di cui ha bisogno per vivere e prosperare [117]. Le connessioni che la natura ci chiede, però, non sono quelle virtuali dentro realtà artificiali: sono quelle vere con persone in carne e ossa. Secondo tale prospettiva, la tecnomediazione della comunicazione potrebbe essere un ausilio per le relazioni se usata in maniera intelligente, ma non una sua sostituzione.
Dove stiamo andando? Un paio d’anni fa, il New York Times, in un articolo dal titolo significativo “Electronic Devices Redefine Quality Family Time”, ha mostrato l’immagine di una famiglia dove il figlio videogioca, la sorella consulta “Love calculator” sul touchscreen dell’iPhone, il padre fa giochi online e la madre chatta su Facebook con le amiche: sono tutti sotto lo stesso tetto, ma non si parlano [215]. Una scena molto simile è stata descritta e mostrata in fotografia da Turkle [199], relativamente alla sua famiglia. È questo ciò che vogliamo? Forse è il caso di ripensare all’uso delle nuove tecnologie?
La società comincia ad essere malata nel momento in cui cessa di mettersi in discussione, nel momento in cui le persone accettano la propria condizione senza vedere alternative: una possibilità di cambiamento c’è sempre, “non voler vedere” percorsi alternativi «corrisponde ad una forte integrante della miseria umana e una causa primaria del suo perpetuarsi» [50].

3.6.1 In poesia

A conclusione di questo percorso di ricerca, presa coscienza della crescente sofferenza e alienazione in questo mondo ipertecnologico, un sincero invito dell’autore, rivolto soprattutto ai giovani, è quello di ritrovare la propria umanità snaturata da troppa tecnologia, il proprio corpo e il corpo altrui nelle relazioni sociali, il contatto con la natura sempre più lontana a causa dei mondi artificiali, la fiducia nell’intelligenza umana e nella vita piuttosto che nell’operato delle macchine... in poche parole, si tratta di un invito a ritrovare la propria “vera entità” per riuscire a rispondere non soltanto alla domanda “chi siamo?”, ma soprattutto, a questo punto, anche a “che cosa siamo?”:
 
All’ombra d’un fico
 
Troppo rumore,
troppa fretta,
troppo lordume.
 
Falsità,
confusione,
ovunque.
 
La scienza avanza,
inarrestabile,
ma cosa ne è dei nostri cuori?
 
All’ombra d’un fico,
osservo ogni vivente
e odo ogni suono.
 
Io sono il desiderio
che ogni essere umano
cerchi, e trovi,
la propria vera entità.
 
(Francesco Galgani)


4 Appendice - Internet oggi: dal totalitarismo palmare alla tecnocrazia

In quest’appendice verranno presi in considerazione alcuni usi di Internet da parte della gente, con alcune osservazioni anche statistiche e con attenzione al fenomeno del “filter bubble” (bolla dei filtri), descritto nel libro “The Filter Bubble: What The Internet Is Hiding From You” [158]. A dispetto della loro presunta libertà e neutralità, se non addirittura presunzione di oggettività nel veicolare i contenuti, Google e Facebook si rivelano a tutti gli effetti una “tecnocrazia”, come definita nel saggio “The dark side of Google - Luci e ombre di Google” [102]. Non saranno presi in esame gli aspetti meramente tecnici, come gli algoritmi, bensì sarà posto l’accento sulle conseguenze psicologiche e sociali di un filtraggio preventivo e nascosto.
Avere un quadro generale di cosa le persone fanno con Internet non è semplice. In queste pagine è proposta una possibile lista aggiornata di “tipologie d’uso” della rete, senza pretesa di esaustività: essendo Internet varia come è varia l’umanità (cfr. sez. 1.3↑), gli usi particolari, settoriali e specialistici sono così tanti da essere difficilmente individuabili ed elencabili. È altrettanto difficile trovare statistiche su cui basare un ordine di presentazione o un indice completo di tutti i possibili servizi offerti da Internet.
Nel corso degli anni, alcuni autori hanno tentato di stilare su appositi manuali una sorta di “pagine gialle” di Internet, come il famoso e ormai storico “The Internet yellow pages” [94], venduto anche in versione italiana, o il più recente “1001 Incredible Things to Do on the Internet” [119]. Il problema di fondo di tali pubblicazioni è la precocissima obsolescenza che le rende già vecchie prima ancora di essere stampate, oltre all’inevitabile incompletezza: la dimensione complessiva delle attività in Internet è decuplicata negli ultimi tredici anni ed è raddoppiata negli ultimi sei, inoltre il numero di siti web potrebbe raggiungere il miliardo nel 2015 [124]. Sebbene in generale le statistiche e le proiezioni relative a Internet soffrano di problemi nella rilevazione e nella verifica dei dati, sicuramente la crescita continua ad essere velocissima: sintetizzare ciò che è attualmente possibile fare con Internet pare quindi una sfida estremamente ardua. Attualmente ci sono gruppi di volontari che si stanno impegnando nel tenere aggiornate alcune web directory, cioè elenchi di siti web suddivisi per aree tematiche, categorie e sottocategorie: ad esempio, dal 1998 è attivo l’Open Directory Project, che, secondo i dati aggiornati al 24 novembre 2013, contiene 5˙292˙731 siti web, 99˙941 editori volontari, 1˙020˙828 categorie [63]. Nella stessa data, il numero stimato di pagine web indicizzate dai motori di ricerca è di almeno 1,91 miliardi [223]. Al di là delle cifre, è importante sottolineare che questi dati si riferiscono esclusivamente al web, cioè ad uno dei tanti servizi offerti da Internet: il quadro, già complesso, è ancora più difficile da vedere nella sua globalità se si considera tutto ciò che va al di là della navigazione tramite browser.
Dopo una siffatta premessa, è evidente che la lista qui presentata vuole solo mostrare una panoramica dei possibili contesti virtuali, organizzata per macrocategorie (in parte sovrapposte).

4.1La democrazia di Facebook e di Google: siamo liberi come pesci nell’acquario...

Come precedentemente premesso, uno dei rischi nell’uso di Google e Facebook come principali o uniche fonti di informazione è il “filter bubble”, cioè di isolamento nella propria “bolla di informazione” personalizzata, in cui vengono presentate all’utente solo le cose che gli fa piacere leggere [158, 140, 210]. Il “filter bubble” è il bagaglio personale di informazioni all’interno del quale ogni persona vive quando è online: è una bolla, secondo Eli Pariser, perché creata su misura per ciascuna persona, a seconda dei suoi interessi, delle pagine che consulta, dei click che dissemina per la Rete. «Più ti muovi, più il web diventa sempre più simile a te». È un bolla invisibile, in cui nessuno sceglie di entrare, e che separa dall’esterno: ciascuno si muove in un mondo online sempre più ristretto, a misura delle proprie idee e dei propri gusti, come se tutto il resto del mondo non esistesse. In altre parole, un filter bubble si verifica quando un sito web “indovina” selettivamente quali informazioni a un utente piace vedere, sulla base di tutte le informazioni che riesce a raccogliere su di lui: in questo modo, gli utenti vengono allontanati da informazioni che contraddicono i loro punti di vista e quindi isolati nelle loro bolle ideologiche o culturali. Le conseguenze, secondo Pariser, possono essere molto negative a livello di convivenza civile.
A tutto ciò, va aggiunto che autorità nazionali di tutto il mondo stanno premendo sull’acceleratore della censura: da luglio a dicembre 2012, è stata richiesta a Google la cancellazione di 24000 contenuti digitali [205]. Per operare in certi paesi, come la Cina, Google ha dovuto preventivamente filtrare i contenuti come richiesto dal governo: quando i cinesi provano a cercare parole come “libertà”, “democrazia”, “corruzione”, “sciopero”, “Tibet indipendente”, ecc., non ottengono alcun risultato da Google [143]. Ma anche se non ci fosse alcun tentativo esplicito di oscurare certi contenuti, il sogno di un Google neutrale e contenitore di tutta Internet continuerebbe ad essere un’idea comoda ma illusoria, a causa del suo meccanismo di funzionamento: senza entrare in dettagli che richiederebbero spiegazioni dettagliate, gli approfondimenti possono essere fatti nel saggio del gruppo Ippolita [102].
Sondando nello specifico come viene usato Facebook, in particolare da quella fascia di giovani che lo usano come principale o unico mezzo di informazione, è facile osservare la superficialità e la velocità con cui le informazioni vengono condivise: proprio perché “il medium è il messaggio” (come scrisse Marshall McLuhan), Facebook si presta ad una condivisione acritica, e con pochi approfondimenti, di informazioni che a volte tali non sono, o che perlomeno non sono state verificate e approfondite con calma e con attenzione. Il giornalista e consulente informatico Paolo Attivissimo, studioso della disinformazione dei media, ha scritto, nel suo libro “Facebook e Twitter: manuale di autodifesa”, che la disinformazione grande e piccola, dalle bufale alle tesi di complotto, prospera nei social network, per credulità o per tornaconto ideologico o economico, e i controlli sono davvero scadenti [10]. Una lettura del libro di Attivissimo potrà fornire utili indicazioni.
In generale, le persone più a rischio di disinformazione e di isolamento sono quelle che si informano solo su uno o due canali, senza fare esaustive ricerche sia in rete sia al di fuori della rete, con un approccio che coinvolga più modalità, più fonti e anche più attori: non è vero che tutto lo scibile umano è ormai a portata di mouse, anzi.
Con Facebook, l’ideologia illusoria del "tutto e subito" va insieme a quella del "condividi e sarai felice": nella presente ricerca è stato dimostrato che la realtà è ben diversa. Una critica radicale di Facebook, e parimenti degli altri social network, è necessaria per comprendere a fondo cosa succede dietro le quinte e per capire meglio il presente. Per approfondimenti, si veda il saggio "Nell’acquario di Facebook - La resistibile ascesa dell’anarco-capitalismo" [101].


Bibliografia

[1] A.T.: Mela Fujion, fa proseliti il brevetto del Civ-Ferrara. La Nuova Ferrara, 2013. URL http://lanuovaferrara.gelocal.it/cronaca/2013/09/22/news/mela-fujion-fa-proseliti-il-brevetto-del-civ-ferrara-1.7793567.

[2] APC: Find romance and sex online in Second Life. 2008. URL http://apcmag.com/secondlifesex.htm.

[3] Marco Accossato: Il cyber-bullismo spaventa i ragazzi più della droga e delle molestie. LaStampa.it, 2013. URL http://www.lastampa.it/2013/11/06/cronaca/il-cyberbullismo-spaventa-i-ragazzi-pi-della-droga-e-delle-molestie-7eEqRSxsSmcp5ptAd1RvbM/pagina.html.

[4] Simone Aliprandi: Teoria e pratica del copyleft: guida all'uso delle licenze opencontent. NdA Press, 2006. URL http://books.google.it/books?id=P7-7AAAACAAJ.

[5] Craig A. Anderson: “Attributional Style, Depression, and Loneliness: A Cross-Cultural Comparison of American and Chinese Students”, Personality and Social Psychology Bulletin, pp. 482—499, 1999. URL http://bama.ua.edu/~sprentic/672.

[6] Luca Annunziata: Volunia e la gallina liberata. 2012. URL http://punto-informatico.it/3427138/PI/News/volunia-gallina-liberata.aspx.

[7] AppBrain: Number of available Android applications. 2013. URL http://www.appbrain.com/stats/number-of-android-apps.

[8] Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni Aran: Preoccupante aumento dei NEET in Europa. 2012. URL http://www.aranagenzia.it/araninforma/index.php/febbraio-2012/79-aran-in-europa/304-preoccupante-aumento-dei-neet-in-europa.

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[125] Antonio Lo Iacono: Psicologia della solitudine. Editori Riuniti, 2003. URL http://books.google.it/books?id=NCTpAAAACAAJ.

[126] Giuseppe O. Longo: Nascere Digitali - Verso un mutamento antropologico?. Mondo Digitale n. 4, 2009. URL http://www.accademiadicatania.com/admin/docenti/file/Roberta_Baldaro/9g7c_Nascere.

[127] Mary Madden, Amanda Lenhart, Sandra Cortesi, Urs Gasser, Maeve Duggan, Aaron Smith, Meredith Beaton: Teens, Social Media, and Privacy. Pew Internet, 2013. URL http://pewinternet.org/Reports/2013/Teens-Social-Media-And-Privacy/Summary-of-Findings.aspx.

[128] Alexis Madrigal: Researchers Want to Add Touch, Taste and Smell to Virtual Reality. Wired.com, 2009. URL http://www.wired.com/wiredscience/2009/03/realvirtuality.

[129] MailOnline: Is not joining Facebook a sign you're a psychopath? Some employers and psychologists say staying away from social media is 'suspicious'. 2012. URL http://www.dailymail.co.uk/news/article-2184658/Is-joining-Facebook-sign-youre-psychopath-Some-employers-psychologists-say-suspicious.html.

[130] MailOnline: Over 7 million adults in the UK have NEVER used the internet, with a third of elderly people missing out. Associated Newspapers Ltd, 2013. URL http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-2392980/Over-7-million-adults-UK-used-internet-elderly-people-missing-out.html.

[131] Mufaddal Makati: The Internet Structure. Rawbytes, 2012. URL http://www.rawbytes.com/the-internet-structure.

[132] Tomás Maldonado: Reale e virtuale. Feltrinelli Editore, 2005. URL http://books.google.it/books?id=wk5jDa4uaRUC.

[133] Tony Manninen, Jani Pirkola: Comparative Classification of Multi-User Virtual Worlds. Oulu University, Finland, 1997. URL http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.24.3849&rep=rep1&type=pdf.

[134] Luciano Marchino, Monique Mizrahil: Il corpo non mente. Sperling & Kupfer editori, 2011. URL http://books.google.it/books?id=4wzPfZS649MC.

[135] Lidia Marek: “Hope for and interpersonal relations from the point of view of megatrends”, University of Szczecin, Poland, 2007. URL http://www.pjoap.yoyo.pl/2007511.pdf.

[136] Georgette K. Maroldo: “Shyness and Loneliness among college men and women”, Psychological Reports, pp. 885—886, 1981. URL http://www.amsciepub.com/doi/abs/10.2466/pr0.1981.48.3.885.

[137] Vera Martinella: Che cosa si può fare per non sentirsi sempre più "a disagio". Corriere della Sera.it, 2012. URL http://www.corriere.it/salute/12_dicembre_10/dossier-disagio-psichico-solitudine_5c021352-3fa5-11e2-823e-1add3ba819e8.shtml.

[138] Vera Martinella: L'insorgere delle prime difficoltà. Corriere della Sera.it, 2012. URL http://www.corriere.it/salute/12_dicembre_10/dossier-prime-difficolta_fe0ca55e-3faa-11e2-823e-1add3ba819e8.shtml.

[139] Alfonso Maruccia: Vint Cerf e la gabbia di Facebook. Punto Informatico, 2011. URL http://punto-informatico.it/3282431/PI/News/vint-cerf-gabbia-facebook.aspx.

[140] Giuseppe Mayer: L'informazione passa sempre di più attraverso i social media: uno studio. 2013. URL http://www.ambito5.com/blog/2013/linformazione-passa-sempre-di-piu-attraverso-i-social-media-uno-studio.

[141] Gareth McPherson: Facebook and social media sites 'are unhealthy for single young women' says Cambridge University's Zoe Strimpel, author of Man Diet. Cambrige News, 2013. URL http://www.cambridge-news.co.uk/News/Facebook-and-social-media-sites-are-unhealthy-for-single-young-women-says-Cambridge-Universitys-Zoe-Strimpel-author-of-Man-Diet-20131105060310.htm.

[142] Maurizio Melis: Il salto che fece dell'Homo sapiens un essere umano: Intervista con Ian Tattersall. Moebius, 2008. URL http://www.moebiusonline.eu/fuorionda/Tattersall.shtml.

[143] Chiara Merico: Cina, Google perde la battaglia contro la censura. Rimosso messaggio per utenti. Il Fatto Quotidiano, 2013. URL http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/08/cina-google-perde-battaglia-contro-censura-rimosso-messaggio-per-utenti/463419.

[144] Federica Meta: News online a pagamento: un italiano su quattro dice sì. 2011. URL http://www.corrierecomunicazioni.it/media/11269_news-online-a-pagamento-un-italiano-su-quattro-dice-si.htm.

[145] Miniwatts: Statistiche mondiali di Internet 2012. Miniwatts Marketing Group, 2013. URL http://www.internetworldstats.com/stats.htm.

[146] Paolo Molino: Sviluppo affettivo e ambiente di Donald Winnicott. 2009. URL http://www.paolomolino.com/?page_id=74.

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[148] Elena Mulè: L'innovazione della solitudine: social media antisociali?. TMD, 2013. URL http://www.transmediadays.com/2013/09/18/solitudine-social-media-antisociali.

[149] Clare Murphy: Young more lonely than the old, UK survey suggests. BBC, 2010. URL http://news.bbc.co.uk/2/hi/health/8701763.stm.

[150] John Naisbitt: Megatrends: Ten New Directions Transforming Our Lives. Warner Books, 1988. URL http://books.google.it/books?id=ZflvPwAACAAJ. Il libro è stato tradotto in varie lingue, compreso l'italiano.

[151] Enrico Nardelli: Informatica: un ponte tra le due culture - Introduzione ai temi del convegno "Informatica: Cultura e Società". Università di Roma "Tor Vergata", 2006. URL http://www.mat.uniroma2.it/~nardelli/GRIN-activity/Nardelli-Informatica-ponte-fra-due-culture-gen06.pdf.

[152] Michele Nasi: Anonimato in Rete con TOR: per visitare qualunque sito tutelando la propria privacy. 2013. URL http://www.ilsoftware.it/articoli.asp?tag=Anonimato-in-Rete-con-TOR-per-visitare-qualunque-sito-tutelando-la-propria-privacy_10445.

[153] Federico Navarro: Caratterologia post-reichiana. Nuova IPSA, 1992. URL http://books.google.it/books?id=G-CapwAACAAJ.

[154] Agenzia Stampa Quotidiana Nazionale PPN: Congresso S.I.P. (Società Italiana di Pediatria) a Roma su disturbi psichiatrici giovanissimi. 2012. URL http://www.primapaginanews.it/dettaglio_news_hr.asp?ctg=10&id=79985.

[155] Luciano Paccagnella: La comunicazione al computer: sociologia delle reti telematiche. Il Mulino, 2000. URL http://books.google.it/books?id=f5CdAAAACAAJ.

[156] Randall Packer, Ken Jordan: Multimedia: From Wagner to Virtual Reality. Norton, 2002. URL http://books.google.it/books?id=LKEECCdHLqQC.

[157] Ivana Pais: Acrobati nella rete: i lavoratori di internet tra euforia e disillusione. Franco Angeli, 2003. URL http://books.google.it/books?id=c1JYAAAAYAAJ.

[158] Eli Pariser: The Filter Bubble: What The Internet Is Hiding From You. Penguin UK, 2011. URL http://books.google.it/books?id=-FWO0puw3nYC.

[159] Domenico Parisi: Simulazioni: la realtà rifatta nel computer. Il Mulino, 2001. URL http://books.google.it/books?id=PAYLAQAACAAJ.

[160] Federica Parri: Fuga dalla libertà di Erich Fromm. 2011. URL https://ws.cubby.com/p/_3aa4ec22c38d45c2babb8536c483a56a/Erich+Fromm.

[161] Marta Pecci: La solitudine del pendolare. (testo non pubblicato, consultato in un archivio privato), 2013.

[162] Gabriele Pieroni: E-boom, anche in Europa l'ebook sorpassa il libro. E in Italia?. 2012. URL http://www.linkiesta.it/ebook-iva.

[163] Ken Pimentel: Virtual Reality: Through the New Looking Glass. McGraw-Hill Ryerson, 1995. URL http://books.google.it/books?id=0XVfQgAACAAJ.

[164] Martin Pinquart, Silvia Sörensen: “Risk factors for loneliness in adulthood and old age - a meta-analysis”, Advances in psychology research, pp. 111—143, 2003. URL http://psycnet.apa.org/index.cfm?fa=search.displayRecord&UID=2003-00988-005.

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[166] Giovanni Maria Pirone, Emanuela Caravaggi Mazzonna: Globalizzazione e solitudine: un grande contrasto della nostra epoca. StopSolitudine, 2013. URL http://www.stopsolitudine.com/stopsolitudine/node/134.

[167] Jiří Přibáň: Liquid Society and Its Law. Ashgate Publishing, 2007. URL http://books.google.it/books?id=njfkNvzSf5wC.

[168] Roberto Pulito: Google Translate, interprete mobile. Punto Informatico, 2011. URL http://punto-informatico.it/3070154/PI/News/google-translate-interprete-mobile.aspx.

[169] Relationships Australia R.A.: Issues and concerns for Australian relationships today - Relationships Indicators Survey 2011. 2011. URL http://www.relationships.org.au/what-we-do/research/australian-relationships-indicators/relationships-indicator-2011.

[170] Drago Radić: Services of Internet. 2013. URL http://www.informatics.buzdo.com/p914_internet_services.htm.

[171] Giulio Regosa: Tecnostress e calo del desiderio sessuale: ampissima diffusione di una notizia su questo tema. Tecnostress.it, 2013. URL http://www.tecnostress.it/tecnostress-e-calo-del-desiderio-sessuale-ampissima-diffusione-di-una-notizia-su-questo-tema.html.

[172] Howard Rheingold: Virtual reality. Summit Books, 1991. URL http://books.google.it/books?id=hHZQAAAAMAAJ.

[173] Philippe Rigaut: Au-delà du virtuel - Exploration sociologique de la cyberculture (Al di là del virtuale - Esplorazione sociologica della cybercultura). L'Harmattan, 2001. URL http://books.google.it/books?id=eLLqc9GcKVMC.

[174] Giulio Ripa: Condividere i beni comuni. 2013. URL http://www.condividere.net/massa-marittima.

[175] Marta Rizzo: I nodi mai sciolti della scuola italiana senza fondi, precariato, strutture scadenti. Repubblica.it, 2013. URL http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2013/09/14/news/scuola_save_the_children-66498114.

[176] Roberta Ronconi: "Il corpo in psicoterapia: modelli a confronto" - L'intelligenza dei suoi linguaggi nel setting - Relazione del Dott. Genovino Ferri. 2006. URL http://www.psicoterapiecorporee.it/rivista/Relazioni_il_corpo_in_psicoterapia.

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[181] Società Italiana di Pediatria S.I.P.: Adolescenti e socialità. 2013. URL http://sip.it/news/adolescenti-e-socialita.

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[183] Jason Schnittker: “Look (Closely) at All the Lonely People - Age and the Social Psychology of Social Support”, Journal of Aging and Health, pp. 659—682, 2007. URL http://jah.sagepub.com/content/19/4/659.short.

[184] André Schüller-Zwierlein, Nicole Zillien: A theory of the digital divide (Digitale Spaltung und digitale Kompetenzen) in Informationsgerechtigkeit: Theorie und Praxis der Gesellschaftlichen Informationsversorgung. Walter de Gruyter, 2012. URL http://doc.utwente.nl/86340/1/The_Digital_Divide_-_Hoofdstuk_2_A_theory_of_the_digital_divide.pdf. Il libro è in tedesco, la traduzione in inglese del secondo capitolo, al link riportato, è di Jan van Dijk dell'Università di Twente.

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[188] Sinecoca.it: In aumento i casi di dipendenza da internet tra i bambini. 2012. URL http://www.sinecoca.it/categorie/dipendenza/dipendenza-senza-sostanza/aumento-i-casi-di-dipendenza-da-internet-tra-i-bambin.

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[192] Ian Tattersall: Il cammino dell'uomo - Perché siamo diversi dagli altri animali. Garzanti - Gli Elefanti Saggi, 2004. URL http://books.google.it/books?id=ZxIsAAAACAAJ.

[193] TheBizLoft: Always connected: dopo la generazione X e i nativi digitali della generazione Y, ecco la generazione C. 2013. URL http://thebizloft.com/always-connected-generazione-c.

[194] Mario Aldo Toscano: Zoon politikon 2010, Volume 2 - Politiche sociali e partecipazione. DiSPeS Unipi, 2010. URL http://books.google.it/books?id=dRLKqsNUDxsC.

[195] Laura Traldi: Che fine ha fatto l'amico del cuore?. Repubblica.it, 2013. URL http://d.repubblica.it/famiglia/2013/11/20/news/psicologia_amico_del_cuore-1887365.

[196] Vocabolario Treccani: voce "Virtuale". 2013. URL http://www.treccani.it/vocabolario/virtuale.

[197] Trio: TRIO - Il sistema di web learning della Regione Toscana. 2013. URL http://www.progettotrio.it/trio.

[198] M. B. Tucker, C. Mitchell-Kernan: “Psychological well-being and perceived marital opportunity among single African American, Latina and White women”, Journal of Comparative Family Studies, pp. 57—72, 1998. URL http://www.researchgate.net/publication/255711180_Tucker_M._B.__Mitchell-Kernan_C._.

[199] Sherry Turkle: Connessi, ma soli?. Ted, 2012. URL http://www.ted.com/talks/lang/it/sherry_turkle_alone_together.html.

[200] Sherry Turkle: Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri. Codice, 2012. URL http://books.google.it/books?id=A2zRygAACAAJ.

[201] Sherry Turkle: La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell'epoca di Internet. Apogeo Editore, 1997. URL http://books.google.it/books?id=VCcwX4pUtXYC.

[202] U.E.: Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente (2006/962/CE). Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea, 2006. URL http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2006:394:0010:0018:it:PDF.

[203] UTIU-Students: Decalogo Nettuniano. 2013. URL http://www.utiu-students.net/wikinettuno/index.php?title=Decalogo_nettuniano.

[204] Alan Vaux: “Social and emotional loneliness - The Role of Social and Personal Characteristics”, Personality and Social Psychology Bulletin, pp. 722—734, 1988. URL http://psp.sagepub.com/content/14/4/722.short.

[205] Mauro Vecchio: Google e il pressing dei governi. Punto Informatico, 2013. URL http://punto-informatico.it/3778922/PI/News/google-pressing-dei-governi.aspx.

[206] Virgilio: Studenti italiani tra i più somari della Ue. 2007. URL http://notizie.virgilio.it/cronaca/rapporto_ocse.html.

[207] Meifen Wei, Daniel W. Russell, Robyn A. Zakalik: “Adult Attachment, Social Self-Efficacy, Self-Disclosure, Loneliness, and Subsequent Depression for Freshman College Students: A Longitudinal Study.”, Journal of Counseling Psychology, pp. 602—614, 2005. URL http://psycnet.apa.org/journals/cou/52/4/602.

[208] Meifen Wei, Philip A. Shaffer, Shannon K. Young, Robyn A. Zakalik: “Adult Attachment, Shame, Depression, and Loneliness: The Mediation Role of Basic Psychological Needs Satisfaction”, Journal of Counseling Psychology, pp. 591—601, 2005. URL http://psycnet.apa.org/journals/cou/52/4/591.

[209] Wikinettuno: Le 10 predizioni di McLuhan (tratto da "Psicotecnologie e processi formativi"). 2013. URL http://www.utiu-students.net/wikinettuno/index.php?title=Psicotecnologie_e_processi_formativi&oldid=200. (La validità bibliografica è garantita dal permalink).

[210] Wikipedia: Filter bubble. 2013. URL https://en.wikipedia.org/w/index.php?title=Filter_bubble&oldid=583038295. (La validità bibliografica è garantita dal permalink).

[211] Wikipedia: Linux (kernel). 2013. URL http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Linux_. (La validità bibliografica è garantita dal permalink).

[212] Wikipedia: Outline of the Internet. 2013. URL http://en.wikipedia.org/w/index.php?title=Outline_of_the_Internet&oldid=563091720. (La validità bibliografica è garantita dal permalink).

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[214] Wikipedia: Storia di Wikipedia. 2013. URL http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Storia_di_Wikipedia&oldid=62239682. (La validità bibliografica è garantita dal permalink).

[215] Alex Williams: Electronic Devices Redefine Quality Family Time. The New York Times, 2011. URL http://www.nytimes.com/2011/05/01/fashion/01FAMILY.html.

[216] Sam Williams: Codice Libero (Free as in Freedom) - Richard Stallman e la crociata per il software libero. Apogeo Editore, 2003. URL http://books.google.it/books?id=1lloCtR6pgsC.

[217] WolframAlpha: Wolfram|Alpha: Computational Knowledge Engine. 2013. URL http://www.wolframalpha.com.

[218] Kimberly S. Young, Cristiano Nabuco de Abreu: Internet Addiction: A Handbook and Guide to Evaluation and Treatment. John Wiley & Sons, 2010. URL http://books.google.it/books?id=C_omSZQyfYcC.

[219] Kimberly S. Young: Presi dalla rete. Intossicazione e dipendenza da Internet. Calderini, 2000. URL http://books.google.it/books?id=FplXAAAACAAJ.

[220] Eduardo Zarelli: Il totalitarismo palmare. O dell'illusione del progresso tecnologico. La Voce del Ribelle, 2013. URL http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=12513.

[221] Alan Zucconi, Francesco Orsi: Chatbot "Doriana". 2013. URL http://www.doriana82.com.

[222] Jenny de Jong Gieruel, Theo van Tilburg, Pearl A. Dvkstra: Loneliness and Social Isolation - Chapter 26 of "Cambridge handbook of personal relationships" (Vangelisti and Perlman). Cambridge University Press, 2006. URL http://www.iscet.pt/sites/default/files/obsolidao/Artigos/Loneliness.

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